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Quadro giuridico

Dall’inizio delle operazioni nel 2016, SOS MEDITERRANEE si è sempre impegnata a rispettare l’insieme delle convenzioni internazionali che definiscono gli obblighi del soccorso in mare.

Dall’inizio delle operazioni nel 2016, SOS MEDITERRANEE si è sempre impegnata a rispettare l’insieme delle convenzioni internazionali che definiscono gli obblighi del soccorso in mare. Il diritto marittimo sancisce l’obbligo dei capitani di prestare assistenza a qualsiasi persona in difficoltà in mare, come pure l’incondizionalità del salvataggio, il rispetto della dignità delle/i sopravvissute/i e l’obbligo per le autorità marittime di coordinare le operazioni di soccorso in mare e di assegnare un luogo sicuro di sbarco alle persone superstiti nel più breve lasso di tempo.

Questo quadro giuridico è stabilito nelle convenzioni internazionali che definiscono gli obblighi di salvataggio in mare e di non respingimento dei rifugiati.

  • Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) – Londra (1974)
  • Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR) – Amburgo
  • Convenzione delle nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) – Montego Bay (1982)
  • Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare – risoluzione IMO MSC 167(78) (2004)
  • Convenzione relativa allo status dei rifugiati (Convenzione di Ginevra) 1951

Tutte le azioni di SOS MEDITERRANEE in mare rispettano il diritto internazionale di riferimento.

Ricerca e soccorso in mare: un obbligo giuridico internazionale per gli Stati e i capitani delle navi

Il salvataggio in mare: una tradizione e un obbligo marittimo antico

Le nostre operazioni in mare si basano sul diritto marittimo e sulle convenzioni internazionali (come SOLAS 1974, SAR 1979, UNCLOS 1982). La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 novembre 1982 stabilisce che: “Ogni Stato richiede al capitano di una nave che batta la sua bandiera, nella misura in cui può farlo senza grave pericolo per la nave, l’equipaggio o i passeggeri: (a) di prestare assistenza a qualsiasi persona trovata in mare in pericolo di scomparire” (Articolo 98 (1)). L’obbligo di prestare soccorso in mare a chiunque si trovi in pericolo è generalmente riconosciuto come norma consuetudinaria e ricade in capo a qualunque Stato, e comandante, che possa effettivamente prestare soccorso.

Durante le nostre operazioni in mare, SOS MEDITERRANEE cerca sempre attivamente il coordinamento con tutte con le autorità marittime competenti, informandole ad ogni passo di un’azione di ricerca e soccorso.

Coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso: un obbligo legale dimenticato nel Mediterraneo centrale.

I centri di coordinamento per i soccorsi marittimi sono responsabili di determinare con chi dobbiamo cooperare durante un’operazione di soccorso. Indicano anche se e quando trasferire le persone soccorse da altre navi e infine in quale porto sbarcarle. Dal 2018, a seguito dell’istituzione della Regione di ricerca e soccorso libica sotto la responsabilità del centro di coordinamento per i soccorsi di Tripoli, nelle acque internazionali, SOS MEDITERRANEE si trova di fronte a una crescente mancanza di coordinamento e condivisione di informazioni da parte delle autorità marittime.

Poiché il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC), ufficialmente responsabile del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso nella Regione di ricerca e soccorso (SRR) libica, non risponde alle richieste di coordinamento delle ONG, il ponte della Ocean Viking tiene informate sulle sue operazioni tutte le autorità marittime in grado di aiutare: le autorità italiane e maltesi.

La Ocean Viking partecipa a operazioni di ricerca e soccorso non solo nella Regione di ricerca e soccorso libica, ma anche in tutto il Mediterraneo centrale, di cui una parte dipende dalle regioni di ricerca e soccorso italiana e maltese. Anche se il coordinamento è mancato negli ultimi anni, ci sono ancora casi rari in cui la Ocean Viking riceve istruzioni dalle autorità marittime, compresa la guardia costiera italiana, di intervenire in una ricerca o di dirigersi verso un caso di emergenza.

Nessuna discriminazione nel soccorso in mare

Come stabilito dalla Convenzione SOLAS, l’obbligo di prestare assistenza alle persone in pericolo “si applica indipendentemente dalla nazionalità o dallo stato di tali persone o dalle circostanze in cui si trovano” (Regola 33 della Convenzione SOLAS, 1974 (adottata il 20 maggio 2004)). Di conseguenza, SOS MEDITERRANEE soccorre le persone in pericolo in mare perché è un obbligo giuridico oltre che un imperativo morale. Trattare i naufraghi con dignità, umanità e permettere loro di sbarcare il prima possibile in un luogo sicuro, sono solo alcuni dei punti salienti che caratterizzano la normativa sul soccorso in mare: tra gli altri principi, troviamo l’obbligo di soccorso incondizionato e senza indugio e quello di assistenza senza discriminazioni, indipendentemente da nazionalità, status o circostanze.

Designare rapidamente un luogo sicuro per i sopravvissuti: un obbligo per gli Stati costieri

Secondo le convenzioni marittime, un soccorso è completato solo quando i sopravvissuti sono sbarcati in un luogo sicuro (SOLAS / capitolo 5 / regola 33). La Convenzione SOLAS del 1974 e gli emendamenti alla Convenzione SAR del 2004 stabiliscono che “in ogni caso”, un luogo sicuro deve essere “fornito entro un periodo ragionevole”. Inoltre, la “cooperazione e il coordinamento” tra i governi contraenti sono prescritti per garantire “che i sopravvissuti assistiti siano sbarcati” dalla nave che li assiste e portati in un luogo sicuro “.

La Libia non può essere considerata un luogo sicuro

Un luogo sicuro è definito come “un luogo in cui la sicurezza della vita dei sopravvissuti non è più minacciata e in cui possono essere soddisfatte le loro necessità umane fondamentali (come cibo, riparo e cure mediche) … ” (Appendice alla Convenzione SAR del 1979, 1.3.2.). Questi criteri richiesti per un luogo sicuro non sono rispettati in Libia. Diversi rapporti di Human Rights Watch, della Missione di supporto delle Nazioni Unite in Libia e dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani dimostrano che i “migranti” e i “rifugiati” sono esposti a violazioni dei diritti umani su vasta scala in Libia, tra cui detenzione arbitraria, tortura, lavoro forzato e sfruttamento sessuale. Inoltre, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) continua a sostenere che la Libia non può essere considerata un luogo sicuro per lo sbarco dopo un soccorso in mare.

Le intercettazioni e i respingimenti dei naufraghi in fuga dalla Libia sono illegali

La Convenzione di Ginevra del 1951, all’articolo 33, delinea il concetto giuridico di non respingimento, che impone il divieto di espulsione e di rinvio al confine di un rifugiato da parte di uno Stato. Quest’ultimo, infatti, non può respingere in nessun modo un rifugiato o presunto tale verso territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a causa della sua etnia, religione, cittadinanza, appartenenza ad un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche.

Le intercettazioni e i respingimenti verso la Libia, che non può considerarsi un luogo sicuro, effettuati dalla guardia costiera libica sono dunque illegali secondo quanto previsto dal diritto internazionale umanitario.

Umanità e dignità alla base del soccorso in mare

A bordo della nave, dopo un salvataggio, la dignità dei sopravvissuti e le loro esigenze immediate devono essere rispettate: come sancito dal regolamento Ue n° 656/2014, e dalla Direttiva IMO MSC 167(78), tutti i naufraghi devono essere trattati con umanità e rispetto ed i loro bisogni soddisfatti.

I principi del diritto internazionale: umanità e dignità alla base del soccorso in mare

A bordo della nave, dopo un salvataggio, la dignità dei sopravvissuti e le loro esigenze immediate devono essere rispettate: come sancito dal regolamento Ue n° 656/2014, e dalla Direttiva IMO MSC 167(78), tutti i naufraghi devono essere trattati con umanità e rispetto ed i loro bisogni soddisfatti.

#1

Obbligo di prestare assitenza

I capitani e gli Stati hanno l’obbligo di prestare assistenza senza indugio a chiunque si trovi in difficoltà in mare

#4

Soccorso incondizionato

L’obbligo di assistenza si applica indipendentemente dalla nazionalità e dallo status delle persone in pericolo, o dalle circostanze in cui si trovano

#2

Umanità

A bordo della nave, dopo un salvataggio, la dignità dei sopravvissuti deve essere rispettata e i loro bisogni immediati soddisfatti

#5

Sbarco rapido

I sopravvissuti devono essere sbarcati in un luogo dove la loro sicurezza non è più a rischio, non appena ragionevolmente possibile, e con una deviazione minima rispetto al percorso inizialmente previsto dalla nave

#3

Luogo sicuro

“Un luogo in cui le operazioni di salvataggio sono considerate terminate. È anche un luogo dove la vita dei sopravvissuti non è più minacciata e dove. i loro bisogni fondamentali possano essere soddisfatti (cibo, alloggio e cure mediche)”

#6

Libertà di navigazione nelle acque internazionali

Le navi di ogni Stato hanno il diritto di navigare in alto mare

La cooperazione tra Stati

La Convenzione SAR e la Convenzione SOLAS impongono agli Stati l’obbligo di cooperare e coordinarsi in modo che i capitani delle navi che forniscono assistenza siano autorizzati a sbarcare le persone soccorse in un luogo sicuro. Per raggiungere questo obiettivo, impongono obblighi interdipendenti a tre categorie di Stati: gli Stati costieri, gli Stati di ricerca e soccorso (SAR) e tutti gli Stati interessati.

Lo Stato SAR in cui si è verificato il salvataggio ha il compito di assicurare il coordinamento e la cooperazione tra le Parti contraenti, in modo che i marittimi che hanno prestato assistenza possano essere assistiti tempestivamente. Queste Convenzioni impongono quindi a tutte le Parti contraenti l’obbligo di coordinarsi e cooperare per garantire che i comandanti delle navi che prestano assistenza possano adempiere ai loro obblighi con una deviazione minima dall’itinerario previsto per la loro nave.

Nella ricerca di imbarcazioni segnalate in difficoltà, così come nelle operazioni di soccorso, nonostante tutti i tentativi di coordinamento, la Ocean Viking rimane quasi costantemente senza risposta dalle autorità marittime libiche. Di fronte a questo silenzio, la Ocean Viking non ha altra scelta che chiedere aiuto ai centri di coordinamento per i soccorsi marittimi più in grado di aiutare, ovvero l’Italia e Malta.

Questa pagina ha lo scopo di fornire un quadro giuridico delle operazioni di ricerca e soccorso condotte da SOS MEDITERRANEE nel Mediterraneo centrale. Non ha l'obiettivo di essere esaustiva.

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.