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La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE vuole far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.

[18.05 – 08.06.23] 

Il Mediterraneo centrale è sempre più carente di risorse di soccorso a causa del fermo delle navi ONG e dell’assegnazione di porti lontani. Ma nel frattempo le partenze continuano e la situazione in Libia si fa sempre più caotica.  

Soccorsi in mare quasi quotidiani da parte delle navi ONG. Le autorità marittime non coordinano e assegnano porti lontani, privando il mare di mezzi di soccorso. 

Il 17 maggio la nave di soccorso Louise Michel ha salvato 71 persone da un gommone sovraccarico in difficoltà, meno di un giorno dopo essere tornata in mare. L’equipaggio è stato informato di un potenziale caso di pericolo dall’aereo Colibri 2 di Pilotes Volontaires. Il giorno successivo, i sopravvissuti sono sbarcati nel porto di Trapani, in Italia. 

Tra il 18 e il 19 maggio, secondo il giornalista di Radio Radicale Sergio Scandura, circa 700 persone sono state soccorse al largo delle coste calabresi dalla Guardia Costiera italiana, sbarcate poi a Messina e Reggio Calabria dalla nave Diciotti.  

Il 19 maggio, secondo la linea diretta civile Alarm Phone, la nave portacontainer CAPE FRANKLIN ha soccorso 48 persone da un’imbarcazione in difficoltà, coordinata dal Centro di coordinamento del soccorso marittimo italiano (MRCC). I sopravvissuti sono sbarcati a Pozzallo, in Italia. 

Il 19 maggio, 26 sopravvissuti soccorsi da Geo Barents, la nave gestita da MSF, sono sbarcati a Brindisi. 

Il 25 maggio, la Ocean Viking della ONG SOS MEDITERRANEE è stata coinvolta in una lunga operazione congiunta con la ONG Emergency e i velivoli della ONG Sea Watch, per cercare un’imbarcazione in difficoltà segnalata da Alarm Phone, con circa 500 persone a bordo, nella regione SAR maltese, senza alcun risultato. Le ricerche sono durate quasi 48 ore: i naufraghi sarebbero stati intercettati e riportati in Libia con la forza. 

Il 26 maggio, Humanity 1 della ONG SOS Humanity ha salvato 88 persone, tra cui 10 minori, da un’imbarcazione di legno stracarica. Successivamente, è stato assegnato loro il lontano porto di Livorno, in Italia, senza però tener conto della presenza di una seconda imbarcazione in difficoltà segnalata dai sopravvissuti. Dopo un viaggio lungo quattro giorni, gli 88 naufraghi sono finalmente sbarcati in Italia. 

Il 27 maggio, un altro salvataggio è stato coordinato dall’MRCC italiano, che ha contattato Geo Barents, gestito da MSF, per prestare assistenza a un’imbarcazione stracarica in difficoltà con 606 persone a bordo. Dopo una lunga operazione di salvataggio, i naufraghi, tra cui 11 donne e 151 minori, sono stati trasferiti in sicurezza sulla Geo Barents. Il team di MSF a bordo è stato poi incaricato di portarli a Bari, in Italia. Lo sbarco è avvenuto il 30 maggio. 

Il 28 maggio, il veliero Nadir della ONG Resqship ha soccorso un’imbarcazione stracarica con circa 55 persone in difficoltà, fornendo loro giubbotti di salvataggio e acqua e accompagnando poi i sopravvissuti verso Lampedusa. Successivamente, la Guardia di Finanza ha proceduto alla loro evacuazione e allo sbarco a Lampedusa. Lo stesso giorno, l’equipaggio della nave Sea Eye 4, gestita dalla ONG Sea-Eye, ha tratto in salvo 17 persone da un’imbarcazione in legno in difficoltà in mare. Subito dopo, il Centro di Coordinamento del Soccorso Marittimo italiano ha assegnato loro il porto di Ortona, a circa 1.300 miglia nautiche di distanza.  

Il 30 maggio, il Sea Eye 4 ha condotto una seconda operazione nella zona SAR maltese, mentre cercava un’altra imbarcazione in difficoltà con a bordo circa 400 persone. Sono riusciti a salvare 32 persone da una precaria imbarcazione in legno. I 49 sopravvissuti sono poi sbarcati a Ortona, in Italia, il 2 giugno. Poiché la nave non ha proceduto immediatamente verso il porto di Ortona dopo aver effettuato il primo salvataggio, la Sea Eye 4 è stata temporaneamente trattenuta dalle autorità marittime italiane (vedi capitolo successivo). 

Il 31 maggio, una nuova risorsa SAR, Mare*Go, gestita da Zusammenland, è stata coinvolta in un’operazione congiunta con gli aerei Nadir e Seabird 2 di Resqship. Mare*Go è arrivato per primo sul posto e ha prestato assistenza all’imbarcazione in difficoltà con 31 persone a bordo. Successivamente, la Guardia di Finanza le ha fatte trasferire. Poco dopo, lo stesso giorno, l’equipaggio di Mare*Go ha individuato un’altra imbarcazione in difficoltà con 44 persone a bordo. L’equipaggio è rimasto con la barca fino all’evacuazione dei sopravvissuti da parte della Guardia di Finanza. 

Il giorno successivo, il 1° giugno, sono state condotte diverse operazioni di salvataggio. Durante la notte, il Nadir di Resqship ha assistito un totale di 160 persone su 4 imbarcazioni in difficoltà nella zona SAR maltese. 

L’equipaggio di Mare*Go ha anche individuato un’imbarcazione metallica in difficoltà e ha soccorso 36 persone. Poco dopo, è stato assegnato loro il lontano porto di Trapani, in Italia, ma la nave è approdata a Lampedusa. Questo ha portato alla sua detenzione temporanea da parte delle autorità italiane (vedi capitolo successivo). 

Il 2 giugno, la Life Support di Emergency ha soccorso 29 persone nella zona SAR libica. Le autorità marittime hanno assegnato loro il lontanissimo porto di Marina di Carrara, in Italia. I sopravvissuti sono sbarcati 3 giorni dopo, il 5 giugno, dopo una navigazione di 70 ore dalla zona del soccorso al porto assegnato. 

Lo stesso giorno, Nadir ha soccorso un’imbarcazione in difficoltà con 73 persone a bordo, fornendo loro giubbotti di salvataggio e accompagnandola verso Lampedusa, in Italia. Successivamente, la Guardia Costiera italiana ha evacuato i sopravvissuti e li ha sbarcati a Lampedusa. Il giorno successivo, lo stesso equipaggio ha trovato diverse imbarcazioni in difficoltà: una prima operazione ha coinvolto due imbarcazioni alla deriva con 65 persone a bordo, fornendo loro giubbotti di salvataggio, prima dell’arrivo della Guardie Costiera italiana. In seguito, ha avuto luogo una seconda operazione: una barca d’acciaio con 39 persone a bordo è stata soccorsa nella zona SAR. Anche in questo caso, l’equipaggio ha fornito loro i giubbotti di salvataggio e li ha accompagnati verso Lampedusa, in Italia. In seguito, la Guardia Costiera italiana ha evacuato i sopravvissuti e li ha sbarcati a Lampedusa. 

Il 7 giugno, secondo Sergio Scandura, la Guardia Costiera italiana è stata coinvolta in 3 operazioni di salvataggio nel sud della Calabria, una di circa 900 persone e altre due di circa 100 e 150 persone. 

Due navi umanitarie sono temporaneamente trattenute dalle autorità italiane dopo aver salvato un totale di 85 persone, ostacolando il proseguimento della loro indispensabile missione in mare.  

Due navi tedesche sono state temporaneamente bloccate dalle autorità italiane dopo aver condotto 3 operazioni di salvataggio tra il 28 maggio e il 1° giugno. La Mare*Go e la Sea-Eye 4 avrebbero violato il nuovo decreto legge approvato in Italia il 24 febbraio, che prevede la regolamentazione delle attività delle navi dedicate alla ricerca e al salvataggio nel Mediterraneo. Le navi di soccorso sono tenute a richiedere l’assegnazione di un porto e a raggiungerlo immediatamente dopo ogni salvataggio. In entrambi i casi, le navi sono state sanzionate con 20 giorni di fermo amministrativo ciascuna. 

La Sea Eye 4 è stata fermata dopo aver salvato 17 persone in una prima operazione di soccorso il 28 maggio nella zona SAR libica e aver operato un secondo salvataggio di 32 persone nella zona maltese il 30 maggio, senza dirigersi immediatamente al porto assegnato di Ortona. 

Nella sua prima missione, Mare*Go il 1° giugno ha salvato 36 naufraghi. La nave ha sbarcato i sopravvissuti a Lampedusa, nonostante le autorità le avessero assegnato il porto siciliano di Trapani. L’equipaggio della nave ha avvertito che non sarebbe stato in grado di coprire la distanza per raggiungere il porto assegnato di Trapani, e che la loro nave “non era attrezzata per garantire la cura delle persone soccorse per tutta la durata del tragitto” (minimo trentadue ore di navigazione). Mare*Go è stata trattenuta all’arrivo a Lampedusa. 

L’organizzazione Sea-Eye ha dichiarato che farà ricorso contro la decisione. Il 4 giugno, l’ONG si è rivolta anche al Ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock e al Ministero degli Esteri tedesco con una urgente richiesta di aiuto. “Questa legge potrebbe bloccare completamente il soccorso civile in mare se le autorità italiane continueranno ad applicarla in questo modo. Dopo tutto, non ignoreremo le richieste di soccorso per evitare i fermi. Metterci di fronte a questa scelta è disumano e irresponsabile”, ha dichiarato Gorden Isler, presidente di Sea-Eye. 

Tragico traguardo di mille morti registrato nel Mediterraneo centrale mentre continuano le intercettazioni e i respingimenti in una Libia sempre più violenta. 

Il progetto Missing Migrants dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha documentato 1.030 morti registrate nel Mediterraneo centrale solo quest’anno. Queste cifre rappresentano una sottovalutazione del numero reale di morti. Segnano inoltre un preoccupante aumento dei decessi rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. 

Tra il 14 maggio e il 3 giugno 2023, secondo l’OIM, almeno 900 persone sono state ricondotte forzatamente in Libia, per un totale di 6.684 persone intercettate dalla Guardia Costiera libica nel 2023.   

Diverse intercettazioni avvenute nel Mediterraneo centrale sono state testimoniate e segnalate anche dalle ONG SAR. 

Il 24 maggio, SOS Humanity ha assistito a un respingimento illegale effettuato da una nave mercantile. Secondo l’ONG, l’MRCC italiano ha avvisato Humanity 1 e le navi vicine di un’imbarcazione alla deriva con 27 persone a bordo. Humanity 1 ha riferito che le persone in difficoltà sono state portate a bordo del mercantile P. Long Beach, registrando una conversazione radio in cui il capitano del mercantile confermava di aver portato i sopravvissuti in Libia.    

L’8 giugno, l’aereo Sea Bird e la nave Geo Barents di MSF hanno assistito all’intercettazione da parte della Guardia Costiera libica di un’imbarcazione in difficoltà con circa 50 persone in acque internazionali, alla quale hanno poi dato fuoco. 

L’ondata di partenze si spiega in parte con la situazione caotica in Libia. Secondo Agenzia Nova, a fine maggio si sono registrate tensioni nella città costiera di Zawiya, con attacchi aerei condotti dal primo ministro di Tripoli che hanno rappresentato un avvertimento per gli oppositori.  

La Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha invitato le parti coinvolte a “rispettare il diritto nazionale e internazionale” e a “proteggere la popolazione civile”. 

Secondo l’Ansa, anche le ambasciate di Stati Uniti e Gran Bretagna hanno reagito all’intensificarsi delle tensioni, chiedendo una distensione tra le parti coinvolte nelle violenze a Zawiya. 

L’inizio di giugno non ha visto una attenuazione delle violenze per le persone che vivono e transitano in Libia, con “migranti arrestati in raid” nella città di confine di Musaid e in altre zone della Libia orientale, secondo AP news.

A tre mesi dal naufragio, l’indagine sul dramma di Cutro. 

Il 2 giugno, un’inchiesta pubblicata da Le Monde, El Pais, Sky News, Domani e Süddeutsche Zeitung, in collaborazione con “Lighthouse Reports”, ha rivelato le inadempienze delle autorità italiane e le implicazioni di Frontex durante il naufragio di Cutro. L’indagine sostiene di aver trovato “contraddizioni nel resoconto ufficiale e prove che sia l’Italia che Frontex hanno dichiarato in modo errato ciò che sapevano sulle condizioni meteorologiche della tempesta e sulle condizioni dell’imbarcazione”. 

Il 26 febbraio, almeno 94 persone sono morte, tra cui bambini e donne, in un naufragio a Cutro, sulla costa meridionale italiana della Calabria. L’imbarcazione era partita dalla Turchia quattro giorni prima, con oltre 200 persone a bordo, ed è affondata mentre cercava di sbarcare dopo aver urtato contro gli scogli in condizioni meteorologiche impervie. Secondo quanto riportato da diversi media e da Frontex, quest’ultima ha individuato il gommone tramite sorveglianza aerea un giorno prima della tragedia e ha trasmesso l’informazione alle autorità italiane. Le autorità italiane hanno avviato un’operazione di contrasto piuttosto che di ricerca e salvataggio, inviando due motovedette della Guardia di Finanza italiana che alla fine sono dovute rientrare in porto a causa delle condizioni meteorologiche. Più di 40 associazioni della società civile italiana ed europea hanno presentato un esposto collettivo alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Crotone chiedendo un’indagine sul naufragio di Cutro per far luce sulle responsabilità di Frontex e delle autorità italiane nella morte di queste persone.  

Sei persone sarebbero indagate, tra cui tre ufficiali della Guardia di Finanza, con l’accusa di non aver impedito la tragedia. “Ci sarà un processo per il naufragio di Cutro”, afferma Francesco Verri, uno degli avvocati che rappresentano le famiglie delle vittime. Ha aggiunto: “Lo Stato ha delle responsabilità precise e la Procura di Crotone le accerterà e porterà i colpevoli davanti al giudice”. 

 

Foto: Camille Martin Juan / SOS MEDITERRANEE

Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.