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L’azione delle navi ONG è illegale.
Falso. L’azione delle ONG in mare come SOS MEDITERRANEE è legale… e vitale. 

SOS MEDITERRANEE ha sempre operato nel rigoroso rispetto del diritto marittimo e internazionale. 

La sua azione si inserisce in un quadro giuridico preciso e in una lunga tradizione marittima. Le sue operazioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali si basano sull’obbligo imposto a tutti i Comandanti di qualsiasi nave di fornire immediata «assistenza ad ogni persona in pericolo in mare. Esse fanno ciò senza tener conto della nazionalità o dello status di detta persona, né delle circostanze nelle quali è stata trovata.» (Convenzione SAR art.2.1.10), e sbarcarle in Luogo sicuro entro un tempo ragionevole. Diverse convenzioni internazionali definiscono gli obblighi di salvataggio in mare, tra cui: 

  • Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS) – 1974 
  • Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio in mare (SAR) – 1979 
  • Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) – 1982 
  • Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare – Risoluzione MSC 167(78) dell’IMO – 2004 

La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (Convenzione SOLAS) del 1974 stabilisce che: “il comandante di una nave in mare che sia in grado di prestare assistenza quando riceve da qualsiasi fonte l’informazione che delle persone sono in pericolo in mare, è tenuto a procedere con la massima sollecitudine alla loro assistenza, informando, se possibile, le persone stesse o il servizio di ricerca e salvataggio che la nave sta procedendo in tal senso.” (Reg. 33 art. 1, Conv. SOLAS). Quando viene avvistata un’imbarcazione in difficoltà, ogni comandante deve, per quanto possibile, riferire la questione al Centro di coordinamento di soccorsi marittimo (MRCC) responsabile della regione di ricerca e soccorso in cui si trova l’imbarcazione. L’MRCC è responsabile del coordinamento dei soccorsi, della designazione dell’imbarcazione o delle imbarcazioni responsabili del soccorso e del luogo sicuro in cui far arrivare i sopravvissuti. In conformità a questa procedura, SOS MEDITERRANEE informa sistematicamente le autorità marittime in tutte le fasi delle operazioni di ricerca e soccorso. 


Non è responsabilità dei cittadini effettuare salvataggi.

Falso. L’assistenza alle persone in pericolo è un dovere di tutti i capitani. 

Ogni comandante di una nave ha non solo il dovere morale, ma anche l’obbligo legale di “prestare assistenza a qualsiasi persona trovata in mare e in pericolo di essere perduta in mare”, nella misura in cui “può farlo senza grave pericolo per la nave, l’equipaggio o i passeggeri della sua nave e le persone che si trovano a bordo” (Convenzione internazionale sull’assistenza, 1989). 

Gli Stati sono responsabili del coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio (SAR) nelle acque internazionali. Pertanto, “Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso” (art. 98 UNCLOS). Tuttavia, ciò non significa necessariamente che tutte le operazioni di salvataggio debbano essere condotte da navi di Stato. A seconda delle circostanze, i Centri nazionali di coordinamento di soccorso marittimo possono avere la necessità di contattare una nave della marina mercantile o qualsiasi altra imbarcazione privata che si trovi nelle vicinanze di un’imbarcazione in difficoltà e ordinarle di prestare assistenza. 

La fine dell’operazione italiana Mare Nostrum, non essendo stata sostituita da un’altra operazione di soccorso europea, ha lasciato un grande vuoto a livello di soccorso in mare nel Mediterraneo centrale. L’operazione Mare Nostrum, condotta dalla Marina Militare italiana tra il 2013 e il 2014, ha salvato più di 150.000 persone e la sua cessazione ha portato a un aumento senza precedenti del numero di naufragi. Di conseguenza, dal 2014, il Mediterraneo centrale è diventato la rotta migratoria marittima più letale al mondo. SOS MEDITERRANEE considera questa situazione inaccettabile e ritiene che anche la società civile abbia una responsabilità: per questo interviene per cercare di ridurre il numero di morti in mare. 


La presenza delle navi delle ONG incoraggia un maggior numero di persone ad attraversare il mare.
Falso. Le violenze e gli abusi documentati in Libia spingono i sopravvissuti a fuggire via mare quando il tempo lo permette. 

L’idea che la presenza di navi ONG di ricerca e soccorso incoraggi le partenze dalla Libia, comunemente chiamata “teoria del pull factor” (fattore di attrazione), è regolarmente confutata da fatti e studi scientifici. 

Le persone intrappolate in Libia fuggono perché vivono in condizioni disumane, indipendentemente dalla presenza di navi di soccorso nelle acque internazionali al largo della Libia. 

Rapporti dell’Università di Oxford, dell’Università di Londra, dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze e dell’Istituto Italiano per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) hanno dimostrato che non esiste un nesso causale tra le traversate nel Mediterraneo centrale e la presenza di navi di soccorso delle ONG che si occupano di Search and Rescue. Lo dimostrano anche diversi esempi concreti: dopo l’interruzione dell’operazione di salvataggio Mare Nostrum nel 2014, il numero di partenze e arrivi in Italia non è diminuito. Al contrario, è aumentato, così come il numero di morti: 3.165 persone morte nel 2014 secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), 3.232 nel 2015. Più recentemente, l’Istituto italiano per gli studi di politica internazionale (ISPI), “Migration and the Myth of the Pull-Factor in the Mediterranean“, mostra che tra il 1° gennaio 2019 e il 24 febbraio 2020, c’è stato quasi lo stesso numero di partenze registrate quando le navi delle ONG di ricerca e soccorso pattugliavano al largo delle coste libiche (52,0 partenze al giorno) rispetto a quando non erano presenti mezzi di ricerca e soccorso nell’area (52,3 partenze al giorno).   

Nel novembre 2022, Matteo Villa dell’ISPI ha pubblicato che nei primi quattro mesi e mezzo del 2021 il numero medio di persone partite ogni giorno dalle coste libiche è di 125 con la presenza di ONG nell’area SAR di ricerca, e soccorso del Paese nordafricano e 135 senza. https://ilmanifesto.it/il-mistero-del-rapporto-di-frontex-sul-pull-factor-citato-dal-governo  

Sono soprattutto le condizioni meteorologiche in mare a influenzare i tempi di partenza delle imbarcazioni dalle coste libiche, seguite dalle fluttuazioni della situazione della sicurezza e dagli scontri in Libia. 

Tra il 2014 e il 2022, secondo i dati dell’OIM, oltre 20.0001 persone sono morte nel Mediterraneo centrale. Sarebbe disumano e cinico non salvare le persone in difficoltà in mare con il pretesto di dissuadere altri dal tentare la fuga. 


I sopravvissuti dovrebbero essere riportati in Libia.

Falso. Riportare i sopravvissuti in Libia è illegale e pericoloso. 

Il diritto marittimo internazionale vieta lo sbarco di persone soccorse in mare in Libia, in quanto non può essere considerato un “luogo sicuro”. 

Secondo la risoluzione MSC.155(78) (emendamento del 2004 alla Convenzione SAR del 1979), un salvataggio non è completo finché i sopravvissuti non sono stati sbarcati in un “luogo sicuro”, ovvero un luogo in cui “la sicurezza della vita dei sopravvissuti non è più minacciata e in cui i loro bisogni umani fondamentali (come cibo, riparo e necessità mediche) possono essere soddisfatti”.2  Come riconosciuto dal Consiglio d’Europa3, dalle Nazioni Unite4 e dalla Commissione Europea5, questi criteri non sono soddisfatti in Libia. Le persone intrappolate in Libia subiscono violenze inimmaginabili. Quasi tutti i sopravvissuti che sono fuggiti da quello che chiamano “l’inferno libico” e che sono stati salvati da SOS MEDITERRANEE riferiscono di scene di punizioni corporali, estorsioni, ripetuti arresti arbitrari, lavoro forzato e violenza sessuale. Queste violazioni dei diritti umani su larga scala sono documentate anche da altre organizzazioni come Amnesty International e Human Rights Watch. 

Sbarcare i sopravvissuti in Libia sarebbe quindi una violazione del diritto marittimo internazionale e del principio di non-refoulement, non respingimento, un principio fondamentale del diritto dei rifugiati. 


Le navi umanitarie stanno raccogliendo persone direttamente in Libia. 
Falso. La Ocean Viking soccorre imbarcazioni in difficoltà in acque internazionali.  

La nostra nave non entra mai nelle acque territoriali libiche (una zona che si estende a 12 miglia nautiche dalla costa – più di 22 chilometri) o nel territorio. Pattugliamo sempre in acque internazionali al largo della Libia. 

Tutte le navi che navigano in mare, ad eccezione delle navi militari, hanno l’obbligo di avere sempre acceso il trasponder, un apparecchio chiamato AIS (Automatic Identification System, Sistema di Identificazione Automatica). Questo sistema automatico per lo scambio di messaggi radio VHF consente alle navi e ai sistemi di monitoraggio del traffico di conoscere l’identità, lo stato, la posizione e la rotta delle imbarcazioni. L’AIS è utilizzato per la sicurezza della navigazione ed è progettato per essere in grado di fornire automaticamente informazioni sulla nave ad altre navi e alle autorità costiere. Tutte le informazioni fornite dall’AIS sono pubblicate su siti web open-source. 

La Ocean Viking ha sempre rispettato questo obbligo e la sua posizione è registrata costantemente dal suo AIS di bordo. 
 

Le navi delle ONG facilitano l’azione dei trafficanti di esseri umani Falso. Le navi delle ONG rispondono a una situazione umanitaria urgente in mare e salvano vite umane! 

Le persone che tentano la traversata in mare fuggono da strazianti violazioni dei diritti umani in Libia: detenzione arbitraria, violenza fisica, estorsione, lavoro forzato e sfruttamento sessuale, tra le altre cose. Di fronte a queste condizioni di vita disumane, molti non hanno altra scelta che fuggire via mare, indipendentemente dal costo della traversata e nonostante il rischio di perdere la vita. L’unica soluzione è affidarsi ai trafficanti. La presenza delle ONG non ha alcun ruolo in questa decisione. Il contesto politico e sociale della Libia crea un mercato per i trafficanti. 

L’accusa di collusione è grave e diffamatoria: l’azione delle ONG di ricerca e soccorso non è la causa, ma una risposta di emergenza alla tragedia della crisi umanitaria che si sta consumando nel Mediterraneo. 


Le ONG come SOS MEDITERRANEE lavorano con gli scafisti.
Falso. Ogni operazione di ricerca e salvataggio di SOS MEDITERRANEE avviene in totale trasparenza con le autorità marittime competenti: lo testimoniano i giornalisti indipendenti a bordo.  

SOS MEDITERRANEE avvia un’operazione di ricerca e soccorso dopo aver avvistato un’imbarcazione in difficoltà con il binocolo o il radar; dopo aver ricevuto istruzioni dalle autorità marittime competenti o dopo aver ricevuto informazioni su una situazione di pericolo, sempre dalle autorità marittime, da un’altra imbarcazione, da un aereo o altri strumenti. Le autorità marittime competenti vengono informate sistematicamente dal personale e dal comandante della Ocean Viking in ogni fase dell’operazione, dalla ricerca attiva alla fine dell’operazione di salvataggio. Tutte le operazioni di SOS MEDITERRANEE in mare e tutte le interazioni con altri attori, come i Centri di coordinamento soccorsi, sono riportate in tempo quasi reale, in modo obiettivo, fattuale e trasparente, sul sito web onboard.sosmediterranee.org. Inoltre, in ogni missione, diversi giornalisti indipendenti salgono a bordo e possono riferire su tutto ciò che accade in mare.  


Non tutte le imbarcazioni soccorse sono in pericolo.
Falso. Imbarcazioni inadeguate, sovraffollate, senza cibo, acqua e carburante sufficienti: una situazione che richiede assistenza immediata. 

Il tipo di imbarcazioni che le navi delle ONG incontrano nel Mediterraneo centrale sono inadeguate alla navigazione, fin dal momento in cui lasciano le coste libiche. 

Secondo il diritto marittimo, una situazione di pericolo è definita da: la capacità di navigare dell’imbarcazione, la probabilità che raggiunga o meno la destinazione finale, il numero di persone a bordo in relazione al tipo e alle condizioni dell’imbarcazione, la disponibilità di carburante, acqua e cibo, la disponibilità di attrezzature di sicurezza, navigazione e comunicazione e il loro stato di funzionamento, la presenza di persone che necessitano di assistenza medica, persone decedute, donne incinte o bambini a bordo, le condizioni meteorologiche e del mare.
6 Le imbarcazioni soccorse da SOS MEDITERRANEE, di legno o tubi di gomma assemblato con assi, sono sistematicamente sovraffollate. Estremamente fragili o in cattive condizioni, sono inadatte alla navigazione. Per questo motivo, SOS MEDITERRANEE hanno messo a punto procedure e tecniche molto precise per il “salvataggio di massa” in mare aperto: queste imbarcazioni possono rovesciarsi o sgonfiarsi in qualsiasi momento, ad esempio al minimo movimento delle persone a bordo. Queste imbarcazioni sono quindi “in pericolo” anche se non stanno affondando o se il motore funziona nel momento dell’avvistamento. 

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.