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«La situazione a bordo della Ocean Viking ha raggiunto il limite. Siamo davanti a rischi gravissimi, compreso quello di incidenti mortali. Il benessere fisico e psicologico dei sopravvissuti e dell’equipaggio è precipitato, dopo quasi 20 giorni di stallo in mare. È un’emergenza umanitaria che esige una risposta immediata», dichiara Alessandro Porro, presidente di SOS MEDITERRANEE Italia.  

Oggi è il diciottesimo giorno trascorso a bordo da molte delle 234 persone salvate dalla Ocean Viking. Queste persone stavano attraversando il Mediterraneo su imbarcazioni precarie e stracolme. Negli ultimi giorni – e particolarmente nel corso delle ultime ore – il nostro team ha osservato un drastico peggioramento della salute fisica e mentale delle donne, dei bambini e degli uomini bloccati sul ponte della nostra nave, senza una soluzione per il loro sbarco.   

«Il team medico di bordo ha riscontrato stati di fortissimo stress tra i naufraghi, con crescenti sintomi di ansia, depressione, insonnia e perdita dell’appetito. Dopo aver atteso così a lungo una risposta positiva alle molteplici richieste di un Porto sicuro, i naufraghi stanno perdendo le ultime speranze, nonostante l’esemplare resilienza che hanno dimostrato finora. Alcuni sopravvissuti hanno iniziato a manifestare l’intenzione di buttarsi in mare per la disperazione. Incidenti gravi possono verificarsi in qualsiasi momento, mettendo a rischio la sicurezza degli stessi naufraghi e del nostro equipaggio», continua Porro. 

Dopo le quotidiane e molteplici (oltre 30) richieste di assegnazione di un Porto sicuro, rivolte a tutti i Centri di Coordinamento del Soccorso Marittimo (RCC) competenti, è ingiustificabile che non si sia ancora trovata una soluzione. La Ocean Viking ha inizialmente contattato i centri di coordinamento responsabili delle regioni di ricerca e soccorso in cui abbiamo condotto le operazioni (Libia e Malta). In un silenzio assordante, ha poi contattato, come previsto dal diritto marittimo, il centro di coordinamento più idoneo a fornire un Porto sicuro, ossia l’Italia. Ma il nuovo governo ha imposto un divieto discriminatorio – sebbene implicito perché mai comunicato alla nostra nave – all’ingresso della Ocean Viking nelle acque territoriali, così come a tutte le navi di ricerca e soccorso gestite dalle ONG. Questo ci ha costretti ad allargare ancora una volta le nostre richieste di assistenza per trovare un Porto sicuro ai centri di coordinamento più vicini: Grecia, Spagna e Francia. Ancora una volta, per quasi una settimana, non sono state fornite risposte alla Ocean Viking.   

«Nei giorni scorsi, le leggi marittime e umanitarie sono state palesemente violate in Sicilia, con l’attuazione di operazioni di sbarco selettive e discriminatorie delle persone soccorse dalle navi ONG HUMANITY 1 e Geo Barents. Ad entrambe le navi è stato impedito di completare lo sbarco di tutti i naufraghi a bordo. Questa misura non è in linea con le disposizioni delle convenzioni e delle risoluzioni internazionali marittime e umanitarie che regolano le operazioni SAR», ha dichiarato Nicola Stalla, Coordinatore delle operazioni di ricerca e soccorso a bordo della Ocean Viking.  

Tutti i naufraghi salvati in mare sono persone vulnerabili. Il loro soccorso non è completo finché non vengono sbarcati in un Porto sicuro, diritto negato dal decreto interministeriale emesso per due navi ONG. L’ordine di lasciare le acque territoriali italiane con i superstiti a bordo, comunicato a HUMANITY 1 e Geo Barents, mette a rischio la sicurezza di coloro che sono rimasti bloccati a bordo.  Tre naufraghi a cui è stato impedito di sbarcare dalla Geo Barents si sono buttati in mare per disperazione ieri, 7 novembre.  

Di fronte al silenzio dell’Italia e a causa dell’eccezionalità della situazione, la Ocean Viking è costretta a richiedere un Porto sicuro alla Francia. Si prevede che la Ocean Viking arriverà nelle acque internazionali adiacenti alla Corsica il 10 novembre. Questa soluzione estrema è il risultato di un fallimento gravissimo e drammatico di tutti gli Stati membri dell’Unione Europea e degli Stati associati, che non sono stati in grado di indicare un Porto sicuro alla nostra nave. Chiediamo che il Centro di coordinamento per la ricerca e il soccorso in mare francese trovi una soluzione immediata per i naufraghi a bordo della Ocean Viking. 

«La consuetudine di privare i naufraghi di un Porto sicuro deve cessare. Chiediamo ancora una volta ai governi di lavorare – Stati membri dell’UE e Stati associati, insieme alla Commissione Europea – per stabilire un meccanismo di sbarco prevedibile, in luoghi dove la sicurezza dei naufraghi non è più minacciata» conclude Xavier Lauth, Direttore delle operazioni di SOS MEDITERRANEE.  

  

NOTA PER I REDATTORI:  

Tra il 22 e il 26 ottobre, la Ocean Viking ha soccorso 234 donne, bambini e uomini, tra cui oltre 40 minori non accompagnati e quattro bambini sotto i 4 anni, trovati su sei imbarcazioni precarie e pericolosamente sovraccarico, in imminente pericolo di naufragio. Tre delle operazioni di salvataggio sono state condotte nella Regione libica di ricerca e soccorso (SRR), le altre tre nella SRR maltese.   

La Ocean Viking ha informato i Centri di coordinamento (RCC) competenti, chiedendo informazioni e coordinamento in tutte le fasi delle operazioni di ricerca e soccorso e richiedendo un Porto sicuro dopo l’evacuazione di ciascuna delle imbarcazioni trovate in difficoltà. La Ocean Viking non ha ricevuto risposte positive.  

Dal 27 ottobre, la Ocean Viking ha inviato quotidiane richieste di assistenza per trovare un Porto sicuro per i 234 sopravvissuti all’RCC più idoneo, cioè quello italiano. Senza alcun risultato.   

Dal 2 novembre, la Ocean Viking ha inviato richieste quotidiane di cooperazione e coordinamento per l’individuazione di un Porto sicuro per i 234 naufraghi ai Centri di coordinamento del soccorso in mare di Francia, Spagna e Grecia, ovvero i più vicini in grado di supportare i centri di coordinamento precedentemente contattati. Senza alcun risultato. 

Oggi, 8 novembre, la Ocean Viking ha inviato una richiesta di Porto sicuro al Centro di coordinamento del soccorso marittimo francese.   

Secondo il Progetto Missing migrants dell’OIM, quest’anno almeno 1.337 persone sono scomparse sulla rotta migratoria del Mediterraneo centrale. La maggior parte delle 88.000 persone arrivate via mare in Italia nel 2022 è stata soccorsa dalla Guardia Costiera italiana e da altre navi di soccorso dello Stato italiano o è arrivata autonomamente. Il 15% circa è stato soccorso da navi  ONG.  

  

Estratti di Convenzioni e Risoluzioni marittime internazionali:  

Obbligo per lo Stato responsabile dell’area SAR di trovare prontamente un Porto sicuro per lo sbarco, Convenzione SAR capitolo 3 § 3.1.9: “La Parte responsabile della regione di ricerca e soccorso in cui viene prestata tale assistenza esercita la responsabilità primaria di garantire il coordinamento e la cooperazione, in modo che i sopravvissuti assistiti siano sbarcati dalla nave che presta assistenza e portati in un luogo sicuro, tenendo conto delle circostanze particolari del caso e delle linee guida sviluppate dall’Organizzazione. In questi casi, le Parti interessate provvedono allo sbarco non appena ragionevolmente possibile”.    

Obbligo di cooperazione e assistenza di tutti gli Stati in virtù del principio di solidarietà con lo Stato SAR, Convenzione SAR capitolo 3 § 3.1.9: “Le Parti si coordinano e cooperano per garantire che i comandanti delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano esonerati dai loro obblighi con una minima deviazione dal viaggio previsto per le navi, a condizione che l’esonero del comandante della nave da questi obblighi non metta ulteriormente a rischio la salvaguardia della vita in mare”.  

Obbligo di soccorrere le persone in pericolo in mare, fino al loro sbarco in sicurezza, senza discriminazioni: “L’obbligo di prestare assistenza si applica indipendentemente dalla nazionalità o dallo status di tali persone o dalle circostanze in cui si trovano.” (Convenzione SOLAS Capitolo V, Reg 33.1, 1974 (emendata nel 2006).  

“6.20. Qualsiasi operazione e procedura, come lo screening e la valutazione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la prestazione di assistenza alle persone in difficoltà, non deve ostacolare la prestazione di tale assistenza o ritardare indebitamente lo sbarco dei sopravvissuti dalla/e nave/i che presta/no assistenza.” RISOLUZIONE MSC.167(78) dell’IMO (adottata il 20 maggio 2004).  

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.