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La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE vuole far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.

Oltre 700 persone salvate dalle navi delle ONG e della Marina Militare sbarcano in Sicilia 

Il 30 aprile scorso, il porto di Augusta è stato assegnato come Porto sicuro per le 236 persone salvate dalla Ocean Viking da due gommoni in acque internazionali al largo della Libia il 27 aprile. Tutti i sopravvissuti sono stati testati per il COVID-19 dalle autorità sanitarie italiane prima di completare lo sbarco il 1° maggio. L’equipaggio della Ocean Viking sta seguendo ora una quarantena di 14 giorni nel porto di Augusta, come richiesto dalle autorità sanitarie italiane. Nella loro ultima missione in mare, i team di SOS MEDITERRANEE sono stati testimoni delle conseguenze devastanti di una catastrofe sempre più drammatica, con un naufragio che non ha lasciato superstiti, un salvataggio simultaneo di due gommoni sovraccarichi, diverse intercettazioni da parte della guardia costiera libica e una grave mancanza di coordinamento e condivisione di informazioni da parte delle autorità marittime. 

Il 30 aprile 49 persone sono state salvate dalla nave Foscari della Marina Militare Italiana, in acque internazionali a nord di Tripoli. Si tratta del primo salvataggio condotto da una nave militare italiana nel Mediterraneo centrale da 20 mesi (l’ultimo era del settembre 2019). Lo sbarco è avvenuto a Pozzallo il primo maggio. 

La Sea Watch 4 della ONG tedesca Sea Watch, la cui detenzione è stata sospesa da un provvedimento provvisorio del tribunale amministrativo di Palermo, è partita per la sua seconda missione il 23 aprile. L’equipaggio ha salvato 455 persone in 6 operazioni tra il 28 aprile e il 1° maggio. La Sea Watch 4 ha assistito anche a diversi respingimenti operati dalla guardia costiera libica. Il porto di Trapani è stato assegnato come come Porto sicuro per le 455 persone a bordo della Sea Watch 4. 

Il fermo amministrativo della Sea Watch 4, il ritorno in mare della Aita Mari e la prima missione della Sea Eye 

L’8 maggio il fermo amministrativo della nave Sea Watch 4, sospeso dal Tar siciliano a marzo, è stato ripristinato. Lo ha disposto il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (Cgars), rivedendo la decisione del Tribunale amministrativo della Regione Sicilia, che aveva esaminato e accolto la richiesta di sospensione del fermo. Lo stesso giorno, la nave Aita Mari, del collettivo spagnolo Salvamento Maritimo Humanitario, ha lasciato il porto di Adra, Almeria. In navigazione, l’equipaggio ha avvistato una barca in difficoltà con 16 persone a bordo all’altezza di Cartagena. La Aita Mari ha segnalato il caso di emergenza all’autorità di salvataggio spagnola Salvamento Maritimo e, successivamente, il salvataggio condotto dalla nave Guardamar Caliope. Sempre l’8 maggio, la Sea Eye 4, la nuova nave della ONG Sea Eye, ha lasciato il porto di Burriana, in Spagna, dirigendosi per la prima volta nel Mediterraneo centrale. Nel frattempo, la Alan Kurdi, la cui detenzione è stata sospesa dal tribunale amministrativo di Olbia, ha lasciato la Sardegna alla volta di un cantiere navale in Spagna. 

Almeno 40 morti al largo delle coste libiche e più di 7500 respingimenti forzati quest’anno 

Lunedì 10 maggio, i 42 superstiti di un naufragio che ha causato la morte di 24 persone sono stati riportati a Tripoli dalla guardia costiera libica. Un corpo è stato recuperato e 23 persone sono disperse, secondo l’UNHCR. Alarm Phone aveva trasmesso una richiesta di soccorso per questa stessa barca all’inizio della giornata. 

Secondo l’OIM, più di 1500 persone sono state intercettate dalla guardia costiera libica, appoggiata dall’UE, e riportate con la forza sulle coste libiche negli ultimi quattordici giorni. Più di 700 sono state intercettate solo domenica 9 maggio. Lo stesso giorno almeno cinque persone sono annegate quando il gommone su cui stavano cercando di fuggire dalla Libia si è rovesciato al largo della costa. Tra le vittime di questo naufragio c’è un bambino. 

La maggior parte delle persone che vengono riportate in Libia dopo i rimpatri forzati finiscono arbitrariamente detenute in uno dei famigerati centri di detenzione libici. Più di 7500 persone sono state intercettate mentre cercavano di fuggire dalla Libia quest’anno, mentre meno di 2500 persone sono state rimpatriate con la forza nello stesso periodo dell’anno scorso. All’inizio di questo mese, il 2 maggio, almeno undici persone sono morte in un naufragio al largo di Zawiya, in Libia. La guardia costiera libica ha recuperato 12 sopravvissuti. Poco si sa di un altro naufragio segnalato lo stesso giorno e che potrebbe aver causato fino a cinquanta morti secondo la Mezzaluna Rossa libica, come riportato da Al Arabiya. 

Oltre 2000 persone su almeno 20 imbarcazioni hanno raggiunto Lampedusa durante lo scorso fine settimana, mentre centinaia sono state segnalate in difficoltà nella Regione di ricerca e soccorso maltese. Più di 300 persone hanno raggiunto il porto autonomamente su una grande barca di legno, poche ore prima che la Guardia Costiera italiana portasse in salvo quasi 500 persone da un singolo peschereccio che stava andando alla deriva al largo dell’isola domenica scorsa, come ha riportato Mediterraneo Cronaca. Secondo la giornalista Angela Caponnetto, lunedì 10 maggio all’hotspot di Lampedusa erano già presenti 2000 persone, mentre gli sbarchi continuavano a susseguirsi. Durante lo stesso fine settimana, Alarm Phone ha trasmesso richieste di aiuto arrivate da sei barche in difficoltà nel Mediterraneo centrale. Secondo la ONG, più di 400 persone erano in pericolo in mare domenica notte. Non è stato ancora possibile confermare la sorte di tutte queste persone, mentre è noto che una delle barche è naufragata domenica pomeriggio e due potrebbero aver raggiunto Lampedusa. 

Circa 70 persone sono state salvate da una motovedetta delle forze armate maltesi e sbarcate a Malta martedì 11 maggio, come riporta Reuters. Alarm Phone aveva trasmesso per la prima volta una richiesta di soccorso da questa barca la sera prima. 

Anche la nave italiana Asso30, normalmente di stanza presso la piattaforma petrolifera Bouri, nella SAR Zone libica, ha condotto un salvataggio. Circa 20 persone, alcune delle quali ferite, sono state fatte sbarcare a Lampedusa martedì 11 maggio, riferisce Angela Caponnetto. Nel primo fine settimana di maggio, una breve finestra di bel tempo ha favorito altre partenze. Come riporta l’ANSA, 532 persone hanno raggiunto Lampedusa nella notte tra il 31 aprile e il 1° maggio su quattro imbarcazioni, una delle quali  trasportava 297 persone di origine subsahariana.  

Si levano richieste di azione e solidarietà europea: un ritorno all’Accordo di Malta sui ricollocamenti? 

In risposta agli ultimi eventi nel Mediterraneo centrale, sia l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) che l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) hanno dichiarato di essere profondamente preoccupati per la situazione nel Mediterraneo centrale, perché il numero di morti è aumentato di oltre il 200 per cento quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Flavio Di Giacomo, portavoce dell’OIM per il Mediterraneo, ha chiesto all’UE “un sistema di pattugliamento efficiente, sbarchi sicuri, chiarezza sui trasferimenti interni. Ma prima di tutto occorre rafforzare la presenza delle navi europee per ridurre il numero di coloro che vengono riportati nell’inferno libico”.  

In una conferenza stampa del 10 maggio, dopo un incontro con l’Alto Commissario per i rifugiati e un colloquio con il ministro dell’Interno italiano, il commissario europeo per gli Affari interni Ylva Johansson ha invitato gli Stati membri dell’UE a mostrare solidarietà all’Italia attraverso il ripristino del sistema di ricollocamento delle persone che arrivano sulle coste dell’Europa meridionale in tutti gli Stati membri dell’UE volontari, al fine di rispondere all’emergenza legata ai recenti sbarchi a Lampedusa. L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati Filippo Grandi ha insistito sulla necessità di “un meccanismo più prevedibile e più efficiente guidato dagli Stati per salvare le persone in mare” e di “un meccanismo prevedibile per lo sbarco e il ricollocamento“. L’esecutivo dell’UE ha affermato martedì di non aver ancora raccolto da parte dei paesi dell’UE nessun impegno per la redistribuzione delle persone sbarcate recentemente in Italia. 

L’11 maggio si è tenuta, sotto la presidenza portoghese del Consiglio dell’UE, una conferenza sulla gestione delle migrazioni a Lisbona. I progressi nell’applicazione dei meccanismi di solidarietà proposti nel Patto per la migrazione e l’asilo, presentato dalla Commissione UE lo scorso settembre, sono stati lenti, ha detto il commissario UE per gli affari interni Ylva Johansson, mentre l‘Italia ha sottolineato nuovamente la necessità di ristabilire l’Accordo di Malta sui ricollocamenti. 

Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.