La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE intende far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.
Oltre 11.000 persone sono state forzatamente riportate in Libia dall’inizio dell’anno, più che durante tutto il 2019
Un ennesimo naufragio è accaduto il 10 novembre scorso al largo delle coste libiche: almeno 13 persone, tra cui tre donne e un bambino, risultano disperse, probabilmente annegate, dopo che la loro imbarcazione si è rovesciata; è uno solo il cadavere recuperato finora. Secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), 11 sopravvissuti sono stati riportati in Libia dalla sedicente guardia costiera libica. Intanto, al largo delle coste libiche, si continuano a recuperare corpi: tre cadaveri sono stati ripescati il 9 novembre secondo l’OIM e uno il 30 ottobre scorso .
Dall’inizio dell’anno, sono 11.356 le persone che hanno cercato di fuggire dalla Libia e sono state intercettate in mare e forzatamente riportate nel paese, secondo l’OIM. Questo tremendo bilancio supera il totale delle persone respinte in Libia in tutto il 2019 (9.925). In sole due settimane, infatti, l’OIM segnala che 1.400 donne, bambini e uomini sono stati intercettati in mare e riportati con la forza in Libia, tra cui 1.000 solamente nei primi tre giorni di novembre. La maggior parte di loro finisce nei famigerati centri di detenzione dove le Nazione Unite e le organizzazioni di difesa dei diritti umani, da anni documentano abusi e torture.
«In assenza di azioni concrete da parte degli Stati in materia di Ricerca e Soccorso, assegnazione d un porto sicuro e prevedibile e solidarietà, sempre più persone vengono riportate a situazioni di sfruttamento e abuso», ha dichiarato Federico Soda, capo missione dell’OIM in Libia.
Appena tornata operativa nel Mediterraneo centrale, la Open Arms effettua subito un soccorso: una presenza cruciale, mentre le altre 7 navi di soccorso delle ONG sono ancora bloccate dalle autorità
La nave Open Arms della Ong spagnola Proactiva-Open Arms ha lasciato il porto di Barcellona il 4 novembre scorso, per riprendere la sua missione di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Sei giorni dopo, la nave ha soccorso 88 persone, tra cui due donne incinte, da un gommone parzialmente sgonfio in pericolo. Il giorno precedente, l’equipaggio aveva cercato a lungo un altro gommone in difficoltà, che andava alla deriva con circa 60 persone a bordo. I membri dell’equipaggio di Open Arms sono stati informati successivamente che il gommone era stato intercettato dalla Guardia costiera libica, prima che l’Ong potesse raggiungere l’ultima posizione segnalata. Durante la stessa missione l’equipaggio ha trovato anche i resti di una imbarcazione di legno affondata, senza nessuno a bordo, e uno zaino che galleggiava in mare.
Le altre sette navi umanitarie che operano di solito nel Mediterraneo centrale (Alan Kurdi, Sea Watch 3, Sea Watch 4, Mare Jonio, Ocean Viking, Louise Michel, Aita Mari), invece, sono ancora impossibilitate a svolgere la loro missione di soccorso in mare, a causa dei blocchi amministrativi che le hanno colpite. Alla fine di ottobre, per la terza volta dal 14 settembre, a due membri dell’equipaggio dell’ONG Mediterranea Saving Humans è stato negato l’imbarco sulla Mare Jonio dalle autorità portuali italiane ad Augusta, in Sicilia. Questa decisione di fatto impedisce alla nave di effettuare la sua missione di soccorso nel Mediterraneo centrale.
Alla luce di questa situazione, la presenza della nave di Open Arms è cruciale perché la società civile europea continui a salvare vite, a testimoniare e ad informare e venir informata su quanto sta accadendo nella vasta zona marittima al largo della Libia.
«Non luogo a procedere» per la nave Open Arms
Lo stesso giorno del ritorno in mare di Open Arms, due membri dell’ONG spagnola, l’ex comandante e il capo missione, sono stati scagionati dalle accuse di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di violenza privata dal tribunale di Ragusa. A seguito di un’udienza preliminare, il tribunale ha deciso di “non procedere” con l’indagine, considerando che non vi erano elementi idonei a costituire il reato di violenza privata e che il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina non è punibile per “stato di necessità“. In altre parole, impossibile processare l’Ong per aver messo in salvo persone la cui vita era a rischio. I due membri di Proactiva-Open Arms erano stati accusati a seguito di un’operazione che aveva portato al soccorso di 218 persone, condotta nel marzo 2018 sotto il coordinamento delle autorità italiane. L’equipaggio aveva rifiutato di seguire le istruzioni e consentire alla sedicente guardia costiera libica di prendere il controllo del completamento dell’operazione SAR, in virtù dell’impossibilità di considerare la Libia un porto sicuro.
Questa decisione è un segnale positivo per chi, come noi, effettua soccorso in mare, poiché riconosce che l’azione delle Ong umanitarie è dettata dal rispetto delle Convenzioni internazionali e del diritto del mare e rappresenta un più ampio riconoscimento dell’inviolabilità dei principi del diritto marittimo e del dovere di soccorrere vite umane in mare, stabilendo che non si tratta di principi applicabili a discrezione, a seconda delle situazioni.
Evitato un tragico naufragio al largo di Lampedusa, mentre continuano le rischiose traversate nel Mediterraneo centrale
Dal nostro ultimo “Sguardo sul Mediterraneo“, quasi 3.000 persone sono arrivate in Italia via mare, secondo i dati dell’UNCHR. All’inizio del mese, è stato osservato un netto aumento degli arrivi a Lampedusa, con quasi 2.000 persone arrivate sull’isola tra l’1 e il 6 novembre. Un tragico naufragio è stato evitato per poco il 4 novembre, quando un gommone che trasportava circa un centinaio di persone, tra cui donne e bambini, è finito contro uno scoglio.
Con questi arrivi, l’hotspot di Lampedusa ha drasticamente superato la sua capacità massima di 192 posti, arrivando ad ospitare fino a 1.350 persone nelle ultime due settimane. Proseguono i trasferimenti sulle navi quarantena, e nei giorni scorsi quasi 900 sopravvissuti sono stati trasferiti a bordo delle navi Allegra e Rhapsody. Prima di questi trasferimenti, nell’ultimo fine settimana di ottobre, secondo il giornalista Sergio Scandura e il media locale Fanpage, 9 persone avrebbero compiuto atti di autolesionismo a bordo della nave quarantena Rhapsody, ingerendo lame di rasoio e frammenti di vetro. Tutte queste persone sono di conseguenza state trasferite negli ospedali di Palermo per fornire loro le cure adeguate.
Dall’altra parte del Mediterraneo centrale, almeno 172 persone sono state salvate dalla Guardia costiera tunisina nelle ultime due settimane. Come riferito dall’agenzia di stampa francese AFP, il 7 novembre scorso 28 persone sono state soccorse al largo delle isole Kerkennah. Appena quattro giorni prima, secondo un membro del parlamento tunisino, la Guardia costiera tunisina aveva tratto in salvo 31 persone a bordo di un’imbarcazione partita dalla Libia. Il 26 ottobre è stato evitato anche un ulteriore, tragico, naufragio: secondo i media locali, la marina e la guardia costiera tunisine hanno salvato 113 persone, tra cui 9 bambini, al largo di Sfax, che si trovavano a bordo di una imbarcazione che si stava già riempiendo d’acqua.
I sopravvissuti della “tragedia di aprile” presentano un’azione legale contro Malta
Cinquanta richiedenti asilo, forzatamente riportati in Libia lo scorso aprile, insieme a due fratelli di persone che hanno perso la vita in mare, hanno intentato un procedimento costituzionale contro il governo maltese, chiedendo giustizia per quello che considerano un soccorso ritardato e un respingimento coordinato dalle forze armate di Malta. In questo dossier, sostenuto dall’organizzazione maltese per i diritti civili Repubblika, sostengono che 50 dei querelanti erano a bordo di una imbarcazione in pericolo, avvistata da un aereo Frontex nella zona di ricerca e salvataggio maltese tre giorni prima che le autorità maltesi delegassero il suo salvataggio al peschereccio privato “Dar As-Salam”; a quel punto, diverse persone erano già morte. I sopravvissuti sono stati poi respinti in Libia. Secondo Times of Malta, la procedura denuncia diverse violazioni dei diritti umani sanciti dalla Costituzione maltese, la Convenzione europea per i diritti umani (Cedu) e la Carta dei diritti umani fondamentali dell’Unione europea, tra cui trattamenti inumani e degradanti, espulsioni collettive, nonché violazioni del diritto alla vita e del diritto di chiedere asilo.
Riapertura della rotta atlantica, dalle coste dell’Africa occidentale alla Spagna. Con il bilancio fatale di oltre 200 persone morte o disperse
Riprendendo la precedente edizione del nostro “Sguardo sul Mediterraneo“, continuiamo ad aprire un focus sulla rotta Atlantica e a raccontarvi gli ultimi sviluppi sulla rotta verso le Isole Canarie. Quasi 2.000 persone sono arrivate sulle isole spagnole, a bordo di circa 40 imbarcazioni, solo nell’ultimo fine settimana. Una persona deceduta è stata trovata su una imbarcazione con circa 160 persone a bordo, molte delle quali soffrivano di disidratazione acuta.
Nei dieci giorni precedenti, diverse centinaia di persone sono arrivate alle Isole Canarie, alle Baleari e nel sud della Spagna. Ma spesso con tristissime scoperte a bordo : almeno due corpi sono stati recuperati da imbarcazioni arrivate sulle coste spagnole. Una persona è stata trovata morta su una imbarcazione soccorsa vicino a Gran Canaria da Salvamento Marítimo e dalla Guardia Civile spagnola il 2 novembre ; mentre il 4 novembre una imbarcazione è stata soccorsa a sud di Tenerife, con 72 persone a bordo, tra cui una persona deceduta e tre persone in precarie condizioni di salute. Secondo le testimonianze, i naufraghi erano stati in mare per dieci giorni, dopo la partenza dal Senegal.
Nel mare Atlantico, sulla rotta occidentale verso le isole Canarie, gli attraversamenti sono rischiosissimi, soprattutto in questa stagione: il mese di ottobre è stato particolarmente letale, con due immani naufragi e quasi 200 persone annegate. È ormai accertato che almeno 140 persone abbiano perso la vita il 24 ottobre scorso, in quello che l’OIM ha definito il “naufragio più letale dell’anno“, quando una imbarcazione che trasportava circa 200 migranti è affondata al largo della costa senegalese (vedi il nostro Sguardo sul Mediterraneo). Mentre secondo le testimonianze di 27 sopravvissuti, oltre cinquanta persone sarebbero morte in un altro naufragio, al largo della costa mauritana. Tragica prova che si tenta di chiudere una rotta, come quella del Mediterraneo centrale, e se ne aprono di nuove, sempre più rischiose e letali.
Foto: Flavio Gasperini / SOS MEDITERRANEE
Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.