Lontano dai riflettori, i naufragi continuano e i soccorritori non possono aiutare
Un naufragio dopo l’altro. In questo autunno, la terrificante lista dei morti e dei dispersi nel Mediterraneo, ma anche nell’Atlantico e nella Manica – con la morte confermata di 4 persone, tra cui due bambini – si sta allungando.
La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE intende far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.
Settimana fatale nel Mediterraneo centrale: almeno quattro naufragi al largo di Libia e Italia
Un naufragio dopo l’altro. In questo tragico inizio di autunno, il triste elenco di morti e dispersi si allunga sempre di più, mentre le Ong di ricerca e soccorso sono bloccate a terra. Ai soccorritori viene impedito di svolgere il proprio lavoro: salvare vite. Le tragiche notizie di naufragi continuano a susseguirsi ma, nella maggior parte dei casi, la notizia non arriva sulle pagine dei giornali e non riesce a raggiungere l’opinione pubblica, Nelle ultime due settimane, nel silenzio, almeno 40 persone sono state dichiarate disperse dopo 4 naufragi nel Mediterraneo centrale.
In particolare, domenica 18, la Guardia Costiera italiana ha tratto in salvo sei persone a bordo di una imbarcazione alla deriva. I superstiti di questa tragedia avevano passato almeno 10 giorni in mare, senza cibo nè acqua. Secondo le testimonianze che i sopravvissuti hanno fornito alla Guardia costiera, cinque persone sono morte durante la traversata. L’imbarcazione era partita dall’Algeria assieme ad altre due piccole imbarcazioni, arrivate in Sardegna.
Questa non è l’unica tragedia avvenuta negli ultimi 15 giorni: la scorsa settimana è iniziata con un naufragio al largo della Libia, a cui ne è seguito uno giovedì e un altro domenica.
Lunedì 19, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni – OIM ha denunciato un naufragio avvenuto al largo di Sabratha, in Libia. Almeno 15 persone sono disperse, mentre 5 sopravvissuti sono stati riportati a riva da alcuni pescatori.
Giovedì, una imbarcazione si è capovolta al largo di Lampedusa, relativamente vicino alle coste italiane. Anche in questo caso, quindici persone sono state soccorse da pescatori, mentre cinque risultano disperse.
Domenica 25, almeno 11 persone sono annegate in seguito al capovolgimento dell’imbarcazione sulla quale viaggiavano. È stato possibile ricostruirlo grazie alla testimonianza dei 10 sopravvissuti all’incidente, salvati anche loro da pescatori, questa volta libici. La notizia è stata data dal portavoce dell’OIM, Safa Msheli
Il bilancio è terrificante: in meno di una settimana, almeno 31 persone sono morte o disperse in questi incidenti. Tra di loro almeno due bambini.
Un bollettino di guerra per una tragedia che continua inalterata. La differenza, rispetto agli ultimi anni, è che adesso nessuna nave della flotta civile può intervenire prima che questi incidenti si verifichino. Ai soccorritori è impedito di salvare vite.
Le partenze, infatti, continuano, dimostrando ancora una volta la totale assenza di correlazione tra la presenza in mare delle navi Ong e i tentativi di attraversamento del mare. Il cosiddetto “pull factor” non esiste e i fatti lo dimostrano in maniera inequivocabile.
Come ha evidenziato l’Alto Commissariato della Nazioni Uniti per I Rifugiati – UNHCR, tra il 12 e il 25 ottobre, almeno mille persone sono arrivate in Italia via mare. In particolare, il 20 ottobre, sette barche, con un totale di 253 persone a bordo, sono sbarcate a Lampedusa. Ma altre imbarcazioni hanno raggiunto autonomamente le coste calabresi e pugliesi. Ben 116 persone, invece, sono state intercettate in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica e respinte nel Paese nord-africano, come riporta ancora una volta l’OIM Libia.
Quello del Mediterraneo è un dramma incessante, che rischia di restare lontano dai riflettori e dalle coscienze. Almeno 506 persone sono morte quest’anno, annegate in mare. In un comunicato stampa dello scorso 23 ottobre, l’OIM ha espresso il timore che «a causa della carenza di navi di ricerca e soccorso (SAR), il numero dei decessi sia molto più alto (rispetto a quello noto, ndr) e che i “naufragi invisibili” continuino a verificarsi, lontano dallo sguardo della comunità internazionale». Un altro possibile scenario paventato dalla stessa OIM sottolinea la situazione critica della Libia, anche per ciò che concerne la stessa popolazione del paese nordafricano: «Oltre 430 libici hanno cercato di compiere la traversata verso l’Italia quest’anno, mentre l’anno scorso, nello stesso periodo, erano stati 230».
La situazione, insomma, è sempre più complessa. E le navi delle Ong continuano a dover fare i conti con una vessazione amministrativa che le costringe a terra.
Facciamo il punto della situazione.
Navi Ong: una settima nave affronta un fermo amministrativo. Moonbird torna a volare.
La Louise Michel, la nave di soccorso finanziata dall’artista di strada Banksy, ha annunciato lo scorso 22 ottobre di non essere in grado di lasciare il porto a causa di un fermo amministrativo. Dal 5 maggio scorso, è la settima nave Ong bloccata, alla quale viene reso impossibile salvare vite nel Mediterraneo centrale (vedi le uscite precedenti di “Sguardo sul Mediterraneo”).
Dopo quasi due mesi di blocco, Moonbird, uno degli aerei di ricognizione della Ong tedesca Sea Watch, tornerà a volare. Mentre, lo scorso 23 ottobre, Sea Watch e il partner medico MSF hanno annunciato di aver intrapreso le vie legali per impugnare il fermo amministrativo che le autorità italiane hanno imposto alla nave Sea Watch 4. Il procedimento è stato proposto al Tar di Palermo.
In Libia:
Secondo quanto riferito dalla stampa, venerdì 23 ottobre, entrambe le parti in conflitto in Libia hanno firmato a Ginevra un accordo di cessate il fuoco permanente sull’intero territorio nazionale. La rappresentante speciale ad interim del Segretario Generale dell’ONU per la Libia, Stephanie Williams, ha esortato tutte le parti coinvolte a lavorare il più rapidamente possibile per attuare gli impegni dell’accordo, al fine di alleviare le sofferenze della popolazione libica.
Il comandante della guardia costiera libica, noto come B”ija”, è stato arrestato a metà ottobre dal governo libico riconosciuto dall’Onu per presunto traffico di esseri umani. Un rapporto sulla sicurezza dell’ONU pubblicato nel giugno 2017 descriveva Bija come un facilitatore della tratta di esseri umani e componente di una rete criminale che opera a Zawiyah, in Libia.
L’ANSA riferisce che, secondo gli addetti ai lavori dell’UNHCR e dell’OIM, quasi 3.200 persone sono detenute in undici centri di detenzione gestiti dalla Direzione per la lotta all’immigrazione illegale (DCIM) in Libia.
Anche in altre aree del mondo, però, la situazione umanitaria lungo le rotte migratorie marittime non cessa di preoccupare.
Focus sulla crisi umanitaria nell’Oceano Atlantico: una delle più usate e più letali rotte migratorie al mondo
Anche la pericolosissima rotta dell’Oceano Atlantico tra l’Africa occidentale e le Isole Canarie ha registrato tragici naufragi e perdite di vite umane nelle ultime due settimane. Venerdì 23 ottobre, un numero imprecisato di persone, tutte originarie del Senegal, è morto in un naufragio dopo che il motore della loro imbarcazione è esploso, al largo della città senegalese di Mbour. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, a bordo ci sarebbero state fino a 200 persone. 51 persone sono state salvate dall’esercito senegalese, altre, non si sa esattamente quante, da pescatori.
In una settimana, dal 14 al 21 ottobre, più di 2.600 persone hanno raggiunto le Isole Canarie in barca, tante quante in tutto il 2019. La rotta migratoria dell’Oceano Atlantico è considerata una delle più mortali: secondo l’OIM, per ogni persona che raggiunge le Isole Canarie spagnole, un’altra muore in mare, come riportato in questo articolo di RFI.
Foto: Hara Kaminara / SOS MEDITERRANEE
Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.