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L’ONU denuncia uno “scioccante ciclo di violenze” per le persone in fuga dalla Libia, rafforzato in mare dall’UE

La seguente pubblicazione di SOS MEDITERRANEE intende far luce sugli eventi che si sono verificati nel Mediterraneo centrale nelle ultime due settimane. «Sguardo sul Mediterraneo» non è inteso come un aggiornamento esaustivo, ma si propone di trattare le questioni relative alla ricerca e soccorso che si verificano nell’area in cui operiamo dal 2016, sulla base di rapporti di diverse ONG, organizzazioni internazionali e articoli dalla stampa internazionale.

[Il 28 ottobre sono state apportate delle correzioni a questo articolo per quanto riguarda il controllo amministrativo condotto a bordo della nave di Open Arms]

L’UE ripara e riconsegna alla Libia due motovedette, consentendo futuri respingimenti forzati verso un nuovo ciclo di abusi

Due navi libiche appartenenti all’Amministrazione generale libica per la sicurezza costiera (GACS) sono state riconsegnate alla Libia dopo essere state riparate grazie al sostegno finanziario dell’UE e dell’Italia per “rafforzare la capacità libica di ricerca e soccorso in mare” e “salvare vite umane e affrontare il traffico di esseri umani e la criminalità organizzata lungo la costa libica”, come annunciato in un comunicato stampa della Delegazione dell’Unione europea (UE) in Libia. Queste comunicazioni dell’UE, tuttavia, omettono di ricordare che le persone intercettate da queste due motovedette saranno sbarcate nei porti libici, in violazione del diritto marittimo riconosciuto dalla stessa Commissione Europea e contro le raccomandazioni del Consiglio d’Europa.

Nonostante le istituzioni dell’UE siano ormai, nel 2020, pienamente consapevoli del ciclo di abusi e di detenzioni che attende le persone intercettate in mare e riportate in Libia, le politiche perseguite dall’UE in questi ultimi cinque anni per il rafforzamento e il finanziamento delle autorità libiche proseguono e vengono persino promosse.

Sono quasi 10.000 le persone intercettate in mare e riportate forzatamente in Libia da gennaio 2020

Lo scorso fine settimana (11 e 12 ottobre), in soli due giorni, 390 persone sono state intercettate dalla cosiddetta guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, paese che non può essere considerato un luogo sicuro (OIM). In realtà, sono più di 9.800 le persone che, dall’inizio dell’anno, hanno subito i respingimenti (pull-backs) delegati alla Guardia Costiera libica (OIM). Tra loro, persino 465 bambini, secondo i dati raccolti dall’International Rescue Committee (IRC) tra marzo e settembre 2020.

La politica dei respingimenti, però, non serve a fermare le partenze e, dunque, i naufragi. Tra il 28 settembre e il 5 ottobre, infatti, 11 corpi senza vita si sono arenati sulle coste libiche, secondo quanto riferisce l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM).

 

Nuovi rapporti sulle terribili condizioni di vita dei migranti in Libia

La Libia, come sappiamo, non può essere considerata un porto sicuro per sbarcare le persone salvate o intercettate in mare. Sono svariati e continui, purtroppo, i tragici “promemoria” di questa terribile realtà.

La notte del 28 settembre, circa 350 persone in maggioranza provenienti dall’Africa occidentale, tra le quali 24 bambini, sono state rapite da uomini armati nelle vicinanze di Sabrata, in Libia. “Da allora, alcuni sono fuggiti e altri sono stati rilasciati, ma 60 persone sono ancora tenute prigioniere”, ha riportato la scorsa settimana Medici senza frontiere (MSF). Secondo MSF, “il gruppo, che comprende 24 bambini, è stato rapito dalle proprie case quasi due settimane fa ed è detenuto in una ex base militare in condizioni spaventose”. Il 2 ottobre, secondo quanto riferito, tre uomini sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco nel tentativo di fuggire (Ansamed).

Quattro giorni dopo, un uomo nigeriano è stato bruciato vivo e altri tre uomini hanno subito ustioni in seguito all’attacco di una fabbrica da parte di tre uomini libici nel quartiere tripolitano di Tajoura, come riferito dal capo missione dell’OIM Libia e dal Ministero dell’Interno del governo libico riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Il Mediterraneo centrale senza più navi umanitarie delle ONG

Nonostante la situazione umanitaria in Libia sia gravissima, alle navi della flotta civile viene impedito di svolgere la propria missione salvavita e di testimoniare delle attività illegali e delle morti che accadono nel Mediterraneo Centrale quasi quotidianamente.

Sei navi umanitarie sono ancora detenute o impossibilitate a svolgere le loro missioni di soccorso nel Mediterraneo centrale per decisione delle autorità italiane. La nostra Ocean Viking e, insieme ad essa, la Aita Mari, la Sea-Watch 3, la Sea-Watch 4 e la Mare Jonio sono bloccate da diverse settimane o da mesi (vedi la nostra precedente edizione di Sguardo sul Mediterraneo) – mentre il 9 ottobre scorso la Alan Kurdi è stata sottoposta, per la seconda volta quest’anno, a fermo amministrativo dalle autorità italiane.

La non detenzione della nave Open Arms della ONG Proactiva-Open Arms, a seguito di un controllo amministrativo condotto dopo un periodo di quarantena nel porto di Palermo, offre invece un flebile barlume di speranza per la liberazione delle navi della flotta civile. Il 3 ottobre, la nave della ONG spagnola ha superato con successo un controllo amministrativo. La nave è ora a Barcellona, pronta a tornare in mare. Tuttavia, nel frattempo, sono passate quasi due settimane senza alcuna nave umanitaria operativa nel Mediterraneo centrale, mentre le partenze e i naufragi continuano.

Il 10 ottobre, un’imbarcazione in difficoltà con circa 130 persone a bordo è stata avvistata dall’aereo Seabird, uno dei mezzi aerei di Sea Watch. Sea Watch ipotizza “che la barca sia stata infine intercettata dalla cosiddetta Guardia Costiera libica – ancora una volta con la partecipazione di attori europei”.

Italia: Nuovo decreto sulle migrazioni

Il 5 ottobre scorso il Consiglio dei ministri ha approvato un nuovo decreto sull’immigrazione, modificando i precedenti decreti sicurezza, voluti dall’ex ministro degli Interni Matteo Salvini, e modificando in parte la normativa italiana in materia di Ricerca e Soccorso. Il nuovo decreto sull’immigrazione prevede una clausola di esclusione dalle sanzioni per le navi che hanno effettuato operazioni di salvataggio. Tuttavia, diverse disposizioni, soggette a interpretazione, mantengono un clima di incertezza per quanto riguarda le missioni di soccorso in mare e di complessiva presunzione di colpevolezza nei confronti di navi che hanno compiuto il semplice gesto di salvare vite umane in mare. Nel nuovo decreto, infatti sono previste pene detentive fino a 2 anni e multe fino a 50.000 euro. Il decreto sembra inoltre assoggettare la condotta delle operazioni di ricerca e salvataggio in mare alle politiche migratorie, mentre le operazioni di ricerca e soccorso in mare non possono essere considerate un atto politico. Salvare vite in pericolo non è altro che un dovere legale e morale, regolato per decenni dalle convenzioni marittime internazionali, come ha recentemente ricordato la Commissaria UE, Ursula von der Leyen.

Anche il Commissario dell’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati, Filippo Grandi, ha dichiarato, a margine dell’approvazione del decreto italiano: “Ridurre la capacità di ricerca e soccorso, o ostacolare le attività a chi si impegna a salvare gli altri, o respingere le persone senza un giusto processo, non impedirà alle persone di muoversi; porterà solo più morti e l’ulteriore erosione della protezione dei rifugiati”.

Le polemiche sulle navi quarantena

Recenti rapporti di media e ONG italiane hanno rivelato che uomini e donne regolarmente soggiornanti in diversi centri di accoglienza temporanea in Italia, e che sono risultati positivi al Covid19, sarebbero stati trasferiti sulle navi quarantena noleggiate dal governo italiano per le persone soccorse in mare. Questa informazione è emersa dopo la tragica morte di un ragazzo di 15 anni, originario della Costa d’Avorio, con il sogno di raggiungere l’Europa che, dopo essere stato evacuato dalla nave quarantena “Allegra”, è deceduto in un ospedale di Palermo.

Abdou Diakite – questo il suo nome – era stato soccorso a metà settembre dalla nave della Ong Open Arms, mentre si trovava a bordo di un’imbarcazione partita dalla Libia; trasferito il 18 settembre sulla nave quarantena “Allegra”, è stato visitato il 28 settembre  dai sanitari a bordo, che ne hanno disposto il ricovero l’indomani, ed è stato poi evacuato il 30. È in corso un’indagine da parte delle autorità italiane, avviata dal tutore legale italiano di Abdou, per identificare la causa della morte (Repubblica).

In generale, va sottolineato che dalle navi quarantena trapelano poche e rare notizie. La situazione a bordo, però, sembra essere a dir poco problematica, come dimostrano i vari incidenti che continuano a ripetersi: sabato 3 ottobre, tre persone si sono gettate in mare dalla “Azzurra”, una delle cinque navi quarantena italiane. Due persone sono state recuperate, ma una risulta ancora dispersa, secondo quanto riporta Rai News.

Nuove partenze e nuovo naufragio

Le partenze continuano. E quando le persone che tentano di attraversare il mare non vengono respinte, rischiano comunque la vita a bordo di imbarcazioni non adatte alla navigazione. Anche negli ultimi giorni il mare e l’indifferenza degli stati europei hanno reclamato altre vite: secondo l’OIM, 11 cadaveri sono stati ritrovati sulle coste libiche all’inizio di questo mese. Dal drammatico naufragio avvenuto lo scorso 11 ottobre al largo di Sfax, in Tunisia, sono stati finora recuperati 17 cadaveri, mentre 4 o 5 persone risultano ancora disperse (AFP/Infomigrants).

I numerosi naufragi, però, non fermano le partenze: il 2 ottobre le forze armate di Malta hanno salvato 38 persone. Secondo il giornalista Sergio Scandura, la Asso Ventinove, nave di rifornimento offshore battente bandiera italiana, di stanza vicino al giacimento petrolifero di Bouri, ha salvato 68 persone partite dalla Libia. I sopravvissuti sarebbero sbarcati a Lampedusa la sera del 13 ottobre. Gli sbarchi sull’isola di Lampedusa, dove lo scorso week end sono arrivate più di 800 persone a bordo di 37 diverse imbarcazioni, sono stati continui. 308 persone, di cui 8 risultate positive al Covid19, sono state trasferite domenica sulla nave quarantena Snav Adriatico. Altre 236 saranno messe in quarantena sulla nave Snav Allegra.

Altre rotte migratorie sono sempre attive, verso la Sardegna, la Puglia e, in particolare, verso la Calabria, interessata da vari sbarchi nelle ultime due settimane. Nei primi giorni di ottobre, gli sbarchi in Calabria sono stati il doppio di quelli registrati in tutto il mese di settembre (635 persone). Le ultime due imbarcazioni sono arrivate domenica scorsa a Roccella Ionica: la prima con a bordo 57 persone di nazionalità iraniana e irachena, tra loro anche donne e 18 minori; nella seconda, una barca a vela, approdata nel porto di Crotone, si trovavano 56 persone, tutte pachistane, tra cui 18 minori (Avvenire). Mentre la giornalista di Rai News Angela Caponnetto aveva riferito il 2 ottobre scorso di due imbarcazioni provenienti dalla Turchia, per un totale di circa cento persone, intercettate dalla Guardia di Finanza e fatte sbarcare in Calabria.

L’Ufficio per i diritti umani dell’Onu chiede “un’azione urgente per affrontare la terribile situazione dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo centrale”.

L’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) ha recentemente inviato una missione a Malta per monitorare la situazione dei migranti in transito attraverso la Libia e il Mediterraneo. Gli esperti ONU hanno evidenziato uno scioccante ciclo di violenza: persone che avevano già affrontato inimmaginabili orrori in Libia sono state lasciate giorni alla deriva in mare, intercettate con la forza e riportate indietro per subire di nuovo detenzioni arbitrarie, torture e altre gravi violazioni dei diritti umani.

La Libia è un paese che non può in alcun modo essere considerato un porto sicuro per i migranti. L’agenzia delle Nazioni Unite ha quindi chiesto in un comunicato stampa il 2 ottobre scorso “un’azione urgente per affrontare la terribile situazione dei migranti che tentano di attraversare il Mediterraneo centrale in cerca di sicurezza in Europa”, ribadendo l’urgente necessità di “affrontare le scandalose condizioni che devono affrontare in Libia, in mare e – spesso – al momento della loro accoglienza in Europa”.  Il comunicato stampa “Ciclo di violenze “scioccanti” per i migranti che partono dalla Libia per cercare sicurezza in Europa”, riporta anche “gravi accuse di mancata assistenza a persone in pericolo  in mare e possibili respingimenti  coordinati che dovrebbero essere debitamente indagate”.

Le persone che soccorriamo sono tutte in condizioni di salute precarie, hanno subito abusi e violenze, hanno affrontato giorni di attesa in mare. Ribadiamo pertanto la necessità che vengano fatte sbarcare in un porto sicuro nel più breve tempo possibile e che abbiano accesso alle cure e alla dovuta protezione.

Photo credit: Kenny Karpov / SOS MEDITERRANEE

Il nostro “Sguardo” resta sul Mediterraneo. Per garantire testimonianza di quel che avviene nel Mediterraneo Centrale e per onorare i morti e i dispersi. Continuiamo a osservare e a raccontare.

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.