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Mentre i combattimenti continuano in Libia, le persone fuggono dal paese via mare, rischiando la vita. Il coordinamento degli eventi di ricerca e soccorso è irregolare. Alcuni sopravvissuti sono stati respinti in Libia mentre altri sono bloccati in mare al largo delle coste europee, in attesa dello sbarco di un porto sicuro. Nel contesto dell’epidemia globale di Covid-19, quasi tutte le navi di salvataggio non sono in grado di operare, il che aumenta notevolmente i rischi per questi uomini, donne e bambini che cercano di attraversare quel mare. Le navi Alan Kurdi e Aita Mari sono state immobilizzate dalle autorità italiane questa settimana, un mese dopo il loro ultimo salvataggio. Cronaca di una caotica settimana nel Mediterraneo centrale.

Centinaia di persone in fuga dalla Libia a rischio e altre bloccate a mare

È un fatto purtroppo accertato e di cui SOS MEDITERRANEE è testimone da diversi anni: il deterioramento del conflitto in Libia e l’arrivo di condizioni meterologiche primaverili sono  propizie alle partenze dalle coste libiche. E nonostante la situazione inedita di pandemia di Covid-19, questa situazione si ripete. Infatti, anche solo durante il primo fine settimana di maggio, diverse centinaia di persone hanno rischiato di perdere la vita in mare, tra la Libia e le coste europee.

Secondo ANSA, sono 422, complessivamente, i migranti sbarcati a Lampedusa dal 3 al 6 maggio.

Le 78 (o 79, cifre diverse) persone salvate nella notte tra il 2 e il 3 maggio dalla nave commerciale privata “Marina”, sotto il coordinamento di Malta, sono rimaste bloccate in mare in condizioni disastrose per 6 giorni, in quanto i porti maltesi e italiani più vicini erano ancora chiusi. Alla fine le autorità italiane assegnarono un porto sicuro e ai sopravvissuti fu permesso di sbarcare a Porto Empedocle, in Sicilia. Secondo i media italiani, tutti sono stati trasferiti in una struttura di un’altra provincia.

Ad oggi, 162 persone sono ancora bloccate in acque internazionali, al largo della costa maltese, a bordo di due navi da turismo organizzate dal governo maltese.

A seguito del charter di Captain Morgan “Europa II”, per 57 sopravvissuti salvati sotto il coordinamento delle autorità maltesi alla fine di aprile, questa settimana il governo maltese ha noleggiato una seconda nave di Captain Morgan la Bahari, per i 105 sopravvissuti salvati in due operazioni separate da Malta nella sua zona di ricerca e soccorso. Un gruppo vulnerabile di 18 donne e bambini tra coloro che erano stati salvati, era stato precedentemente portato direttamente a Malta. (The Independent).

Come riportato in precedenza, circa 183 persone salvate dalle navi civili Alan Kurdi e Aita Mari a metà aprile dopo aver completato la loro quarantena di 14 giorni sul traghetto italiano Raffaele Rubattino sotto la cura della Croce Rossa Italiana, sono state autorizzate a sbarcare nel porto di Palermo [Sguardo sul Mediterraneo#4]. I sopravvissuti sono stati trasferiti in varie strutture sul territorio..

Allo stesso tempo, anche gli equipaggi delle navi di salvataggio civili Alan Kurdi e Aita Mari sono stati autorizzati ad attraccare dopo 14 giorni di quarantena. Intendevano tornare in mare con brevi ritardi, ma il 5 e 6 maggio, entrambe le navi sono state immobilizzate dalle autorità italiane nel porto di Palermo.

Ritardi nei soccorsi e intercettazioni nel Mediterraneo

Il portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR), Rupert Colville, si è dichiarato «profondamente preoccupato» per i recenti sviluppi nel Mediterraneo e ha chiesto agli Stati «una moratoria su tutte le intercettazioni e ritorni in Libia»in una nota alla stampa.

«Siamo profondamente preoccupati per le recenti segnalazioni circa la mancata assistenza e per i respingimenti coordinati di imbarcazioni dei migranti nel Mediterraneo centrale, che continua ad essere una delle rotte migratorie più letali al mondo». Per l’Ufficio Onu «i report secondo cui le autorità maltesi hanno richiesto alle navi commerciali di respingere in alto mare le imbarcazioni con migranti e rifugiati in pericolo sono di particolare preoccupazione».

« Il 15 aprile, la missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) ha verificato – si legge nella nota da Ginevra – che 51 migranti e richiedenti asilo, tra cui 8 donne e 3 bambini, a bordo di un natante sono stati respinti in Libia attraverso una barca privata maltese dopo essere stati prelevati nelle acque maltesi”. I migranti sono stati internati «dalle autorità libiche nel centro di detenzione di Tarik al-Sikka. Durante i loro sei giorni in mare, cinque persone sono morte e altre sette sono scomparse e si presume che siano annegate».

L’Onu si è detta inoltre preoccupata per «il fatto che alle navi umanitarie di ricerca e salvataggio, che di solito pattugliano l’area del Mediterraneo centrale, venga impedito di sostenere i migranti in difficoltà, in un momento in cui il numero di coloro che tentano di compiere il pericoloso viaggio dalla Libia all’Europa è aumentato drasticamente. A seguito della immobilizzazione delle navi di soccorso umanitario Alan Kurdi e Aita Mari, attualmente non esistono navi di soccorso e ricerca umanitaria attive nel Mediterraneo centrale. È stato inoltre affermato che i regolamenti e le misure amministrative sono utilizzati per ostacolare il lavoro delle ONG umanitarie. Chiediamo che le restrizioni sul lavoro di questi soccorritori siano immediatamente revocate. Tali misure stanno chiaramente mettendo a rischio vite umane».

Nei primi tre mesi dell’anno, si sono infatti quadruplicate le partenze dalla Libia, ma dal 9 aprile, sia l’Italia che Malta «hanno dichiarato i loro porti “non sicuri” per lo sbarco a causa del Covid-19 (…)». L’OHCHR ha ricordato che «nonostante COVID-19, le operazioni di ricerca e salvataggio dovrebbero essere mantenute e lo sbarco rapido garantito in un porto di sicurezza, garantendo nel contempo la compatibilità con le misure di sanità pubblica.» L’organizzazione ha anche ribadito che era «a conoscenza delle affermazioni secondo cui le richieste di soccorso ai centri di coordinamento del soccorso marittimo competenti sono rimaste senza risposta o sono state ignorate, il che, se è vero, mette seriamente in discussione gli impegni degli Stati interessati a salvare vite umane e rispettare i diritti umani.»

«Nel frattempo, la Guardia costiera libica – accusa l’Onu – continua a riportare a terra i barconi e collocare i migranti intercettati in strutture di detenzione arbitrarie, dove si trovano ad affrontare condizioni orribili tra cui torture e maltrattamenti, violenza sessuale, mancanza di assistenza sanitaria e altre violazioni dei diritti umani». Campi di prigionia che «sono ovviamente ad alto rischio di essere contagiate dal Covid-19».

Anche per questo, in conformità con le linee guida recentemente pubblicate su Covid-19 e sui migranti, l’OHCHR ribadisce che «gli Stati devono sempre rispettare i loro obblighi ai sensi dei diritti umani internazionali e del diritto dei rifugiati».

In occasione della Giornata dell’Europa e del 70º anniversario dell’Europa, Luca Casarini, Capo missione della ONG Mediterranea Saving Humans ha tenuto un discorso al Parlamento Ue chiedendo l’attuazione di un «corridoio umanitario in Libia» per consentire alle persone in pericolo di lasciare legalmente il paese. Dichiarò anche che la loro nave, la Mare Jonio, avrebbe ripreso le sue missioni salvavita in circa due settimane, dopo le riparazioni a bordo della nave.

Escalation della guerra in Libia

In Libia, i combattimenti continuano a infuriare e ad aumentare nella regione di Tripoli, la capitale del paese . Nonostante il fatto che la Guardia Costiera libica abbia dichiarato il porto di Tripoli non sicuro alla fine di aprile, a seguito del bombardamento del porto, le intercettazioni di imbarcazioni in difficoltà e i rimpatri forzati dei sopravvissuti sono proseguiti nelle ultime settimane. Inoltre, le strutture sanitarie sono state colpite da numerosi bombardamenti nelle ultime settimane.

Nella notte tra il 7 e l’8 maggio, l’OIM Libia ha riferito che il suo personale al porto principale di Tripoli in attesa dello sbarco di circa 25 persone intercettate e rientrate dopo aver cercato di fuggire dalla Libia via mare, ha dovuto evacuare il luogo mentre era sotto bombardamento. In un aggiornamento dell’8 maggio, l’OIM ha confermato che i sopravvissuti “sono stati sbarcati la scorsa notte e portati in un centro di detenzione non sotto la responsabilità del Dipartimento per il contrasto all’immigrazione illegale (DCIM). Sebbene l’OIM non abbia accesso a questa struttura, il personale sta cercando di dare seguito e fornire l’assistenza necessaria. L’OIM ha già segnalato sparizioni in questa struttura».

Secondo AFP, sulle rotte migratorie attraverso il deserto sub-sahariano, centinaia di persone continuano Migliaia di africani continuano a tentare la pericolosa traversata del deserto nonostante la pandemia di Covid-19.

Di fronte a questa situazione particolarmente grave nel Mediterraneo centrale, i team di SOS MEDITERRANEE si adoperano affinché l’Ocean Viking riprenda le sue operazioni di salvataggio il più rapidamente possibile. Stiamo formando una nuova squadra medica a bordo per prendersi cura dei futuri sopravvissuti, per proseguire l’attuazione dei protocolli di prevenzione contro il Covid-19 e per prepararci al meglio a riprendere la nostra missione urgente e fondamentale: salvare vite in mare.

Aggiornato l’11maggio alle ore 11:00

Disclaimer. Questa pubblicazione non rappresenta necessariamente il punto di vista di SOS MEDITERRANEE.

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.