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Aggiornato al 4 maggio ore 18:00

Fine della quarantena sulla nave Rubattino per le persone soccorse da Alan Kurdi e Aita Mari

Ieri, lunedì 4 maggio, le 183 persone che, dopo essere state soccorse in mare dalle navi delle Ong Sea-Eye e Salvamento maritimo, erano state poste in quarantena dal 17 aprile sulla nave Rubattino, hanno concluso il periodo di isolamento sotto la supervisione medica della Croce Rossa italiana. Nel porto di Palermo sono ancora in corso le operazioni di sbarco delle 183 persone, incluso 2 donne e 33 minori non accompagnati. Secondo vari media, tutti i migranti erano risultati negativi al test del tampone Covid-19. Al momento non si ha notizia di una eventuale redistribuzione dei sopravvissuti in altri Paesi europei. Anche le navi Alan Kurdi e Aita Mari sono attraccate nel porto di Palermo nella mattina di ieri.

Zona SAR e Mediterraneo centrale

La Ocean Viking è ancora ancorata nel porto di Marsiglia, pronta a ripartire non appena possibile.

Questa settimana, la situazione nel Mediterraneo centrale è stata molto complessa con un incremento delle partenze, varie richieste di soccorso in mare e sbarchi autonomi.

Sull’isola di Lampedusa, nel giro di 24 ore, sono arrivate tre imbarcazioni di persone migranti. L’ultimo sbarco del 3 maggio riguarda un gruppo di 44 persone partite dalla Libia (Zawiyah) che, in un tweet, il giornalista Sergio Scandura ha riferito aver raggiunto le acque italiane al largo di Lampedusa ed essere sbarcato sull’isola a bordo di due motovedette della Guardia Costiera Italiana e della Guardia di Finanza. Il 2 maggio sono stati segnalati due arrivi. 69 persone sono state salvate, nelle acque territoriali italiane a circa 12 miglia dalla costa, da un’imbarcazione danneggiata, dalle motovedette della Guardia Costiera e della Guardia di Finanza. Alcuni dei migranti, che erano a bordo di una barca di legno con un motore rotto, alla vista delle imbarcazioni di soccorso sono saltati in acqua e sono stati immediatamente recuperati dai soccorritori a bordo delle due motovedette.

Il secondo barchino con a bordo 9 tunisini è approdato direttamente in spiaggia autonomamente. Un gruppo di persone è stato portato al
Molo Favarolo, dove i 67 (69) hanno passato la notte, come raccontato da Mediterraneo Cronaca.

Queste 122 persone non potevano essere ospitate nel solo hotspot di Lampedusa, in quanto era pieno. Sono stati infine curati domenica sera dal sacerdote dell’isola, Don Carmelo. Si prevede che a breve saranno trasferiti in Sicilia.

Nella notte tra il 2 e il 3 maggio, una chiamata di soccorso da una barca di legno alla deriva senza carburante a sud della SAR italiana, con a bordo 78 persone (inizialmente rapportate come 90 persone), inclusa una donna incinta con immediato bisogno di assistenza medica, è stata raccolta da Alarm Phone. Le 78 persone sarebbero state portate in salvo a bordo della nave mercantile “Marina” in attesa di ulteriori istruzioni da parte delle autorità marittime, che finora non hanno fornito un Porto sicuro.

Il 30 aprile il governo maltese avrebbe commissionato un peschereccio di proprietà privata, che avrebbe già effettuato un respingimento in Libia di persone soccorse durante il week end di Pasqua, l’intercettazione di 57 persone in difficoltà nell’area di ricerca e soccorso dello stato insulare. Potrebbe trattarsi, ma non si hanno conferme ufficiali, delle circa 62 persone che Alarm Phone aveva riportato come in difficoltà il 29 aprile. Secondo la rete civile, i loro tentativi di contattare la Centrale di Coordinamento Soccorso Marittimo (MRCC) maltese quella notte sono stati in vano. Le persone alla fine sarebbero state trasferite sull’“Europa II”, una nave di proprietà privata, la “Captain Morgan” a 13 miglia nautiche dalla costa.

Il primo ministro maltese Robert Abela ha detto venerdì 1 maggio a che l’“Europa II”, rimarrebbe ancorata al di fuori delle acque territoriali prima che le persone salvate potessero  sbarcare: “finché l’Unione europea non troverà un modo per ricollocarli ” (Reuters). Secondo Times of Malta, il governo maltese ha mandato una lettera alla Commissione europea per richiedere un meccanismo di ricollocazione più efficace, equo e sistemico, e non impegni per determinate imbarcazioni. Al momento della stesura, promesse di ricollocazioni per 128 persone devono ancora concretizzarsi. Non ci sono state finora rilocalizzazioni per i migranti sbarcati a Malta nel 2020, dice la lettera.

Il Primo Ministro Robert Abela ha ammesso di aver “armato” una barca per respingere, nel week-end di Pasqua, 51 migranti verso la Libia devastata dalla guerra, ma ha insistito che era “una missione di salvataggio e non un respingimento”.

Il quotidiano Avvenire ha indagato sul caso della barca con persone in fuga dalla Libia, abandonnata alla deriva cinque giorni prima di essere intercettata e respinta da un peschereccio libico (leggere la precedente puntata di Sguardo sul Mediterraneo). Il giornalista Nello Scavo ha identificato il mezzo navale, ricostruito le informazioni sulla proprietà e ha ottenuto una risposta da Frontex, che attribuisce la responsabilità alle autorità marittime dei paesi mediterranei coinvolti. Nonostante le autorità marritime fossero tutte state informate in modo tempestivo, il salvataggio è stato troppo a lungo ritardato. Cinque persone sono morte e sette sono stati segnalati dispersi. Avvenire ha diffuso i nomi e i volti di alcuni dei defunti, alcuni dei quali annegati e alcuni dei quali morti sul peschereccio durante la ritirata in Libia.

Anche il New-York Times descrive “l’ultima tattica per respingere i migranti dall’Europa? Una flotta privata e clandestina”. Secondo l’inchiesta, il governo di Malta ha arruolato tre pescherecci da traino di proprietà privata per intercettare i migranti nel Mediterraneo e respingerli in Libia.

In un comunicato stampa congiunto della società civile, Alarm-Phone e le ONG della società civile maltese hanno dichiarato che «è sconcertante che le notizie di migranti che stanno per annegare e che potrebbero essere salvati dal tempestivo intervento di Malta non inneschino alcun tipo di risposta da parte del governo. Comprendiamo appieno le difficoltà di Malta nella gestione dell’arrivo di migranti e rifugiati. Ma è comunque abominevole che queste sfide ci rendano insensibili alla perdita di vite umane proprio alle nostre porte».

In un commento alla stampa dell’Assistente Alto Commissario per la protezione dell’UNHCR Gillian Triggs su ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale, l’UNHCR, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, fa appello ad un maggiore coordinamento, alla solidarietà e alla condivisione delle responsabilità alla luce dell’aumento dei movimenti di rifugiati e migranti nel Mediterraneo.

“(…) Le legittime preoccupazioni per la salute pubblica possono essere affrontate attraverso la quarantena, i controlli sanitari ed altre misure. Tuttavia, ritardi nei soccorsi o impedimenti agli sbarchi di imbarcazioni in difficoltà mettono a rischio le vite delle persone. Un porto sicuro per lo sbarco dovrebbe essere fornito senza indugio, insieme a un rapido accordo su come condividere la responsabilità tra gli Stati per l’accoglienza delle persone una volta raggiunta la sicurezza sulla terraferma.”

“Considerato il perdurare del conflitto in corso in Libia, della detenzione abituale in condizioni disumane dei rifugiati e richiedenti asilo sbarcati, che spesso si trovano ad affrontare condizioni di sovraffollamento e insalubri, e delle altre problematiche relative al rispetto dei diritti umani, l’UNHCR ribadisce che nessuno dovrebbe essere riportato in Libia dopo essere stato soccorso in mare.”

“Gli Stati costieri europei del Mediterraneo spesso si fanno carico delle maggiori responsabilità nel caso di arrivi via mare. Quei pochi Stati che permettono regolarmente lo sbarco dovrebbero poter contare sulla solidarietà prevedibile degli altri stati UE attraverso un meccanismo rapido ed efficace di trasferimento, oltre che sul sostegno alle strutture di accoglienza. (..)”

“In questo contesto, l’UNHCR esorta a rafforzare la solidarietà intra-UE con gli Stati costieri mediterranei dell’UE che accolgono rifugiati e migranti e chiede agli altri Stati membri di mostrare una maggiore condivisione delle responsabilità sotto forma di sostegno ai trasferimenti. Gli sforzi collettivi sono essenziali per salvare vite umane in mare.”

Al di là dell’attuale crisi per il COVID-19, l’UNHCR chiede un rinnovato impegno per ridurre la perdita di vite umane in mare, compresa una maggiore capacità di ricerca e soccorso e un meccanismo prevedibile di sbarco.

Libia

Le autorità della Libia orientale hanno espulso almeno 1.400 migranti e rifugiati dall’inizio di quest’anno. Le deportazioni rappresentano una violazione del diritto internazionale secondo quanto dichiarato, martedì 28 aprile, dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani.

“I numeri che abbiamo raccolto riguardano i primi mesi del 2020. Nel conteggio, sono stati inclusi anche i 160 migranti sudanesi espulsi ad aprile”, ha dichiarato Jeremy Laurence, portavoce dell’Ufficio dell’Alto Commissariato durante un briefing alla stampa. “Tali pratiche violano gli obblighi internazionali in materia di diritti umani che vietano il respingimento (refoulement) e l’espulsione collettiva”, ha aggiunto Laurence. I migranti e rifugiati, secondo le informazioni rilasciate dall’ONU, sono stati riportati in Sudan, Niger, Ciad e Somalia e sono stati espulsi dalla Libia senza accesso all’assistenza legale o ad altri servizi necessari per garantire loro la giusta protezione.

Un anno dopo la ripresa del conflitto armato a Tripoli e in un momento in cui la situazione umanitaria in Libia continua a deteriorarsi a causa di ulteriori escalation militari e della diffusione del Covid-19, una coalizione di varie organizzazioni della società civile tra cui Amnesty International, ARCI, ASGI, Avocats Sans Frontiers (ASF), Cairo Institute for Human Rights Studies (CIHRS), EuroMed Rights, International Federation for Human Rights (FIDH), Global Legal Action Network (GLAN), Human Rights Watch (HRW), Lawyers for Justice in Libya (LFJL), Migreurop, Oxfam International e Saferworld esorta “i governi e le istituzioni europee a fermare ogni azione che mira a bloccare le persone in un paese dove si trovano in costante e grave pericolo”. Nella dichiarazione congiunta si esorta a rivedere e riformare le politiche di cooperazione con la Libia sulla migrazione e sul controllo e gestione dei confini. Durante gli ultimi tre anni queste politiche hanno portato al blocco di decine di migliaia di donne, uomini e bambini in un paese dove sono stati esposti ad abusi spaventosi.

La raccomandazione coincide con la presentazione di un esposto elaborato da GLAN, ASGI e ARCI alla Corte dei Conti Europea. Nel loro esposto, le tre organizzazioni chiedono alla Corte un audit sulla cooperazione dell’UE con la
Libia, volto a determinare se l’Ue ha infranto la legislazione comunitaria in materia finanziaria, nonché gli obblighi sui diritti umani, nel supportare la Libia nella gestione dei propri confini.

Il 27 aprile, in un dibattito della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (LIBE) del Parlamento europeo con rappresentanti della Commissione, del Consiglio d’Europa, Frontex, UNHCR, Ong (inclusa Sea-Eye), la maggioranza dei deputati ha insistito sul fatto che la Libia “non è un paese sicuro per lo sbarco di persone salvate in mare”. Hanno chiesto che “l’UE smetta di canalizzare fondi alla Libia per gestire la migrazione e formare la sua guardia costiera, mentre la violazione dei diritti umani dei migranti e dei richiedenti asilo continua”.

Nel suo scambio con il Parlamento, Dunja Mijatović, Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa, ha sottolineato la necessità, nonostante la crisi di Covid 19, di portare avanti i salvataggi in mare e consentire ai superstiti di sbarcare in porti sicuri, di aumentare la capacità di salvataggio e di migliorare la cooperazione tra gli Stati.

Mentre nel Mediterraneo proseguono i respingimenti operati dalla guardia costiera libica e sostenuti dall’UE e dall’Italia, secondo l’OIM, il 1 maggio, 51 migranti, tra cui 3 donne e 2 bambini, sono stati respinti dalla guardia costiera libica a Zawyiyah. La maggior parte di loro sono stati portati in detenzione.

 

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.