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Quali sono le conseguenze della pandemia di Covid-19 sulle migrazioni? Chi sono gli attori attualmente presenti nel Mediterraneo centrale? Le persone continuano a fuggire via mare? Qual è la situazione in Libia? Alla luce della complessa situazione odierna nel Mediterraneo centraleabbiamo deciso di tenervi aggiornati ogni settimanaTestimoniare fa parte della nostra missione.

Che cosa fanno le organizzazioni umanitarie di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale?

 

 

Mancanza di luoghi sicuri a causa della chiusura dei porti, misure di quarantena a seguito della chiusura delle frontiere e dell’assenza di mezzi di trasporto, gravi difficoltà logistiche per il rifornimento e la manutenzione delle navi… Dall’inizio della pandemia del Covid-19 in Europa, tutte le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale hanno messo in pausa le loro attività e sono attualmente in porto, a Marsiglia come la nostra Ocean Viking, in Italia o in Spagna per le navi di Sea-Watch, della Open Arms e di Mediterranea. Lo stesso vale per gli aerei Moonbird di Sea-Watch e Colibri di Volontari, inchiodati al suolo.

Solo la ONG tedesca Sea-Eye con la nave Alan Kurdi ha ripreso il mare il 30 marzo scorso. Arrivata nella zona SAR il 5 aprile, la Alan Kurdi ha soccorso 150 persone in due operazioni condotte in meno di 24 ore. Sea-Eye riferisce che una motovedetta libica ha sparato in aria durante il primo salvataggio, provocando panico che ha fatto sì che le persone si gettassero in mare. I 156 migranti soccorsi dalla Alan Kurdi non sbarcheranno in un porto italiano, ma verrà individuata – con il supporto della Guardia costiera italiana – una nave sulla quale saranno trasferiti per una quarantena e per dei controlli sanitari operati dalla Croce Rossa italiana e dalle autorità sanitarie locali. La nave della ONG tedesca Sea Eye si trova al largo delle coste occidentali della Sicilia.

L’Italia e Malta infatti, hanno chiuso il loro porti a causa della crisi sanitaria che colpisce il loro territorio. In un decreto pubblicato martedì 7 aprile, le autorità italiane hanno annunciato che i loro porti non potranno più essere considerati “luoghi sicuri” a causa del coronavirus. In altri termini, le navi umanitarie di ricerca e soccorso non saranno più autorizzate a sbarcare i superstiti in Italia fino al 31 luglio, presunta data della fine dello stato di emergenza, che potrebbe però essere rinviata.

Meno di 24 ore dopo l’annuncio italiano, anche il governo maltese ha annunciato che i migranti non potranno più sbarcare nei porti maltesi. «È nell’interesse e responsabilità di queste persone non mettersi in pericolo con un viaggio rischioso verso un paese che non è in grado di offrire loro un porto sicuro. » ha dichiarato il governo maltese.

Se la pressione della pandemia sulle società europee è inedita ed estremamente grave, queste decisioni sono contrarie al diritto marittimo internazionale: è responsabilità degli Stati cooperare alla messa a disposizione di un porto sicuro, mentre lo sbarco dei superstiti in un luogo sicuro è un obbligo per tutti i comandanti delle navi.

Che ne sarà delle forze militari dell’Unione europea presenti nella zona?

Il 31 marzo l’Unione Europea (UE) ha annunciato la fine dell’operazione Sophia, i cui mezzi navali erano già stati ritirati un anno fa. In aprile dovrebbe essere lanciata una nuova operazione militare europea, denominata Irini («pace» in greco) il cui obiettivo è di controllare l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi verso la Libia. Essa disporrà di mezzi marittimi e aerei che pattuglieranno l’est del Mediterraneo, lontano dall’attuale zona di partenza delle persone che fuggono dalla Libia via mare.

Secondo le dichiarazioni dell’UE, nel caso in cui le sue navi militari dovessero soccorrere imbarcazioni in pericolo, la Grecia sarebbe il paese di sbarco dei sopravvissuti, prima di essere ripartiti nei paesi dell’UE. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in una conferenza stampa il 31 marzo ha spiegato:  «Le navi non pattugliano i mari alla ricerca di persone da soccorrere. Questo non è “Sophia bis” (…). In un modo o nell’altro, se le navi trovano qualcuno in mare, dovranno soccorrerlo, (…) la missione non è dedicata alla ricerca di persone, al loro salvataggio, ma se ciò accadesse, sapremmo come procedere.»

Quali sono le conseguenze della pandemia sul mondo marittimo?

Oltre alle navi umanitarie, la pandemia del Covid-19 ha colpito duramente tutto il mondo marittimo. Il 19 marzo scorso, il segretario generale dell’Organizzazione Marittima Internazionale, Lim, ha dichiarato: Per rallentare la propagazione della malattia e attenuarne gli effetti, gli spostamenti sono ridotti e le frontiere chiuse. Le piattaforme di trasporto sono colpite. I porti sono chiusi e alle navi viene negato l’ingresso».

Dappertutto decine di migliaia di marinai sono bloccati sulle loro navi a causa delle misure sanitarie e di sicurezza adottate dagli Stati. Il commercio di merci subisce in pieno la crisi e le navi militari non sono risparmiate dall’epidemia, come la portaerei Charles de Gaulle che interrompe una missione nell’Atlantico e torna in porto a Tolone. Uno dei settori particolarmente colpiti è anche quello del trasporto passeggeri: numerose navi da crociera si trovano bloccate in mare con migliaia di turisti, nell’impossibilità di trovare un porto che accetti di farli sbarcare, comprese le persone gravemente malate. La vicenda del lungo viaggio della Zaandam, partita dall’Argentina il 7 marzo scorso con 1250 passeggeri e 1186 membri dell’equipaggio, è emblematica. Al riscontro dei primi sintomi di Covid-19 a bordo, le autorità cilene hanno rifiutato lo sbarco dei passeggeri e dell’equipaggio, seguiti subito da Perù e Panama. Dopo oltre quindici giorni in mare e lunghe trattative, la Zaandam è stata finalmente autorizzata ad approdare in Florida il 2 aprile. In totale sono stati 250 i passeggeri e membri d’equipaggio a manifestare i sintomi del virus e sono state quattro le persone morte a bordo.

Le partenze continuano. Cosa succede alle imbarcazioni in difficoltà?

Il week end di Pasqua è stato drammatico: diverse imbarcazioni sovraffollate si sono trovate in grave difficoltà lungo la rotta del Mediterraneo Centrale (alcune nella zona SAR maltese) e un tragico naufragio si è verificato tra Malta e Tripoli. La ONG tedesca Sea Watch e la piattaforma della ONG Alarm-Phone hanno dato notizia della tragedia, avvenuta dopo che da giorni era stato lanciato l’allarme di ben quattro imbarcazioni in pericolo. Lo denuncia in un tweet la Sea-Watch, spiegando che “250 persone erano alla deriva da ieri (11 aprile, Ndr) su 4 gommoni, con a bordo un numero tra 47 e 85 persone, e che una di queste imbarcazioni si era capovolta”. Tutto sembra indicare che le Forze Armate di La Valletta si sono rifiutate di soccorrere anche le imbarcazioni segnalate nella zona maltese di ricerca e soccorso (SAR).

Inoltre, la sorte delle imbarcazioni alla deriva rimane incerta.  Alarm-Phone, che gestisce un numero verde per le persone in pericolo nel Mediterraneo, ha documentato innumerevoli ritardi e persino presunti atti di sabotaggio in mare. Una delle imbarcazioni che ha contattato la hotline ha raggiunto autonomamente Lampedusa, assistita dalla Guardia Costiera italiana solo nell’ultimissimo tratto della rotta, dopo aver attraversato la zona SAR maltese, con le forze armate di Malta che si sarebbero rifiutate di intervenire. Un’altra imbarcazione già nella zona SAR maltese con 66 persone a bordo è stata soccorsa solo dopo circa 40 ore. Le persone a bordo hanno riferito ad Alarm-phone che le Forze Armate di Malta avrebbero cercato di tagliare il cavo del motore, dicendo loro: «Vi lasciamo morire in acqua. Nessuno verrà a Malta.» Anche l’undici aprile si sarebbe ripetuto lo stesso scenario con una imbarcazione con 72 persone a bordo aggredita in mare, secondo quanto riferisce Alarm-Phone, dalle forze armate maltesi.

Allo stesso tempo, diverse imbarcazioni hanno raggiunto l’Italia autonomamente, arrivando a Lampedusa, Linosa e Pantelleria.

Nel drammatico week end di Pasqua è stato difficile ottenere informazioni precise sulle numerose partenze dalla Libia, lungo la rotta del Mediterraneo centrale. L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (OIM) ha dichiarato in un comunicato stampa pubblicato il 9 aprile che dall’inizio del mese di aprile almeno sei imbarcazioni sarebbero partite dalla Libia con circa 500 persone a bordo. Anche le intercettazioni e i rimpatri verso la Libia effettuati dalla guardia costiera libica proseguono lungo l’asse tra la Libia e l’Italia. Secondo l’organizzazione Alarm-Phone nel mese di marzo oltre 600 persone hanno tentato di fuggire la Libia via mare e sono state intercettate e rispedite in Libia.

Sempre il 9 aprile l’OIM ha riferito che circa 280 persone sono state intercettate in mare e riportate dalla guardia costiera libica a Tripoli. Non sono state autorizzate a sbarcare dalle autorità libiche e hanno trascorso la notte a bordo.

Secondo l’organizzazione Alarm-Phone inoltre, in una sola settimana, dal 5 all’11 aprile 2020, sarebbero oltre 1.000 persone ad aver lasciato la costa libica su più di 20 imbarcazioni. Alarm Phone ha ricevuto chiamate da un totale di 10 imbarcazioni, due delle quali sono state salvate dalla nave di soccorso civile Alan Kurdi il 6 aprile. Secondo diverse fonti, oltre 500 persone sono state riportare in Libia in soli tre giorni.

Per il momento non vi sono indicazioni che la crisi del Covid19 influenzerà le partenze dalle coste libiche, poiché queste ultime sono più legate alla necessità di fuggire dalla Libia, da detenzioni e torture, che a qualsiasi altro fattore.

Qual è la situazione in Libia?

In Libia, nonostante l’annuncio di una tregua umanitaria legata al Covid-19 è presto andata in frantumi, i combattimenti sono ripresi. La regione di Tripoli è così in preda a numerosi bombardamenti. In occasione di una conferenza stampa il 3 aprile, il portavoce dell’Alto Commissariato per i rifugiati in Libia ha dichiarato che almeno 300 civili sono stati uccisi e 150.000 sono stati sfollati dalle loro case dall’inizio del conflitto lo scorso anno. La situazione è ancora più preoccupante se si considera che la Libia, considerata dall’Organizzazione mondiale della sanità come paese ad alto rischio di fronte alla pandemia, ha ufficialmente riportato il 9 aprile scorso 21 casi di contagio da COVID-19 e un decesso. Mentre il sistema sanitario è estremamente fragile, le organizzazioni internazionali presenti si preoccupano delle possibili conseguenze per la popolazione libica e ancor più per le persone migranti, ammassate in centri di detenzione sovraffollati. Sappiamo che queste persone [nei campi di detenzione] non hanno alcuna possibilità di sopravvivere. Ci aspettiamo una catastrofe umana senza precedenti. », ha dichiarato Walid Elhouderi della Commissione libica per i diritti umani.

Le autorità di Tripoli hanno adottato alcune misure: chiusura delle frontiere terrestri, degli aeroporti, istituzione di un coprifuoco, chiusura degli istituti scolastici e pubblici. Tuttavia, la loro attuazione in un territorio politicamente diviso sembra del tutto ipotetica.

Alla luce di questi elementi di contesto, i nostri team sono particolarmente preoccupati per l’emergenza umanitaria che continua nel Mediterraneo centrale, dove la mortalità rischia di aumentare. È evidente che l’attuale situazione di emergenza sanitaria è estrema e destabilizza gravemente i cittadini e gli Stati europei. Tuttavia, questa crisi non deve rimettere in discussione il diritto del mare e le convenzioni internazionali. È assolutamente necessario adottare a livello europeo misure che consentano di sbarcare rapidamente i sopravvissuti soccorsi in un porto sicuro vicino, garantendo nel contempo la salute pubblica.

SOS MEDITERRANEE Italia si impegna a sostenere tutti gli scenari innovativi possibili affinché insieme possiamo raccogliere questa sfida e soccorrere coloro che annegano.

 

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.