Quali sono le conseguenze della pandemia di Covid-19 sulle migrazioni? Chi sono gli attori attualmente presenti nel Mediterraneo centrale? Le persone continuano a fuggire via mare? Qual è la situazione in Libia? Alla luce della complessa situazione odierna nel Mediterraneo centrale, abbiamo deciso di tenervi aggiornati ogni settimana. Testimoniare fa parte della nostra missione.
Che cosa fanno le organizzazioni umanitarie di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale?
Mancanza di luoghi sicuri a causa della chiusura dei porti, misure di quarantena a seguito della chiusura delle frontiere e dell’assenza di mezzi di trasporto, gravi difficoltà logistiche per il rifornimento e la manutenzione delle navi… Dall’inizio della pandemia del Covid-19 in Europa, tutte le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale hanno messo in pausa le loro attività e sono attualmente in porto, a Marsiglia come la nostra Ocean Viking, in Italia o in Spagna per le navi di Sea-Watch, della Open Arms e di Mediterranea. Lo stesso vale per gli aerei Moonbird di Sea-Watch e Colibri di Volontari, inchiodati al suolo.
Solo la ONG tedesca Sea-Eye con la nave Alan Kurdi ha ripreso il mare il 30 marzo scorso. Arrivata nella zona SAR il 5 aprile, la Alan Kurdi ha soccorso 150 persone in due operazioni condotte in meno di 24 ore. Sea-Eye riferisce che una motovedetta libica ha sparato in aria durante il primo salvataggio, provocando panico che ha fatto sì che le persone si gettassero in mare. I 156 migranti soccorsi dalla Alan Kurdi non sbarcheranno in un porto italiano, ma verrà individuata – con il supporto della Guardia costiera italiana – una nave sulla quale saranno trasferiti per una quarantena e per dei controlli sanitari operati dalla Croce Rossa italiana e dalle autorità sanitarie locali. La nave della ONG tedesca Sea Eye si trova al largo delle coste occidentali della Sicilia.
L’Italia e Malta infatti, hanno chiuso il loro porti a causa della crisi sanitaria che colpisce il loro territorio. In un decreto pubblicato martedì 7 aprile, le autorità italiane hanno annunciato che i loro porti non potranno più essere considerati “luoghi sicuri” a causa del coronavirus. In altri termini, le navi umanitarie di ricerca e soccorso non saranno più autorizzate a sbarcare i superstiti in Italia fino al 31 luglio, presunta data della fine dello stato di emergenza, che potrebbe però essere rinviata.
Meno di 24 ore dopo l’annuncio italiano, anche il governo maltese ha annunciato che i migranti non potranno più sbarcare nei porti maltesi. «È nell’interesse e responsabilità di queste persone non mettersi in pericolo con un viaggio rischioso verso un paese che non è in grado di offrire loro un porto sicuro. » ha dichiarato il governo maltese.
Se la pressione della pandemia sulle società europee è inedita ed estremamente grave, queste decisioni sono contrarie al diritto marittimo internazionale: è responsabilità degli Stati cooperare alla messa a disposizione di un porto sicuro, mentre lo sbarco dei superstiti in un luogo sicuro è un obbligo per tutti i comandanti delle navi.
Che ne sarà delle forze militari dell’Unione europea presenti nella zona?
Il 31 marzo l’Unione Europea (UE) ha annunciato la fine dell’operazione Sophia, i cui mezzi navali erano già stati ritirati un anno fa. In aprile dovrebbe essere lanciata una nuova operazione militare europea, denominata Irini («pace» in greco) il cui obiettivo è di controllare l’embargo delle Nazioni Unite sulle armi verso la Libia. Essa disporrà di mezzi marittimi e aerei che pattuglieranno l’est del Mediterraneo, lontano dall’attuale zona di partenza delle persone che fuggono dalla Libia via mare.
Secondo le dichiarazioni dell’UE, nel caso in cui le sue navi militari dovessero soccorrere imbarcazioni in pericolo, la Grecia sarebbe il paese di sbarco dei sopravvissuti, prima di essere ripartiti nei paesi dell’UE. L’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, in una conferenza stampa il 31 marzo ha spiegato: «Le navi non pattugliano i mari alla ricerca di persone da soccorrere. Questo non è “Sophia bis” (…). In un modo o nell’altro, se le navi trovano qualcuno in mare, dovranno soccorrerlo, (…) la missione non è dedicata alla ricerca di persone, al loro salvataggio, ma se ciò accadesse, sapremmo come procedere.»
Quali sono le conseguenze della pandemia sul mondo marittimo?
Oltre alle navi umanitarie, la pandemia del Covid-19 ha colpito duramente tutto il mondo marittimo. Il 19 marzo scorso, il segretario generale dell’Organizzazione Marittima Internazionale, Lim, ha dichiarato: Per rallentare la propagazione della malattia e attenuarne gli effetti, gli spostamenti sono ridotti e le frontiere chiuse. Le piattaforme di trasporto sono colpite. I porti sono chiusi e alle navi viene negato l’ingresso».
Dappertutto decine di migliaia di marinai sono bloccati sulle loro navi a causa delle misure sanitarie e di sicurezza adottate dagli Stati. Il commercio di merci subisce in pieno la crisi e le navi militari non sono risparmiate dall’epidemia, come la portaerei Charles de Gaulle che interrompe una missione nell’Atlantico e torna in porto a Tolone. Uno dei settori particolarmente colpiti è anche quello del trasporto passeggeri: numerose navi da crociera si trovano bloccate in mare con migliaia di turisti, nell’impossibilità di trovare un porto che accetti di farli sbarcare, comprese le persone gravemente malate. La vicenda del lungo viaggio della Zaandam, partita dall’Argentina il 7 marzo scorso con 1250 passeggeri e 1186 membri dell’equipaggio, è emblematica. Al riscontro dei primi sintomi di Covid-19 a bordo, le autorità cilene hanno rifiutato lo sbarco dei passeggeri e dell’equipaggio, seguiti subito da Perù e Panama. Dopo oltre quindici giorni in mare e lunghe trattative, la Zaandam è stata finalmente autorizzata ad approdare in Florida il 2 aprile. In totale sono stati 250 i passeggeri e membri d’equipaggio a manifestare i sintomi del virus e sono state quattro le persone morte a bordo.
Le partenze continuano. Cosa succede alle imbarcazioni in difficoltà?
Il week end di Pasqua è stato drammatico: diverse imbarcazioni sovraffollate si sono trovate in grave difficoltà lungo la rotta del Mediterraneo Centrale (alcune nella zona SAR maltese) e un tragico naufragio si è verificato tra Malta e Tripoli. La ONG tedesca Sea Watch e la piattaforma della ONG Alarm-Phone hanno dato notizia della tragedia, avvenuta dopo che da giorni era stato lanciato l’allarme di ben quattro imbarcazioni in pericolo. Lo denuncia in un tweet la Sea-Watch, spiegando che “250 persone erano alla deriva da ieri (11 aprile, Ndr) su 4 gommoni, con a bordo un numero tra 47 e 85 persone, e che una di queste imbarcazioni si era capovolta”. Tutto sembra indicare che le Forze Armate di La Valletta si sono rifiutate di soccorrere anche le imbarcazioni segnalate nella zona maltese di ricerca e soccorso (SAR).
Inoltre, la sorte delle imbarcazioni alla deriva rimane incerta. Alarm-Phone, che gestisce un numero verde per le persone in pericolo nel Mediterraneo, ha documentato innumerevoli ritardi e persino presunti atti di sabotaggio in mare. Una delle imbarcazioni che ha contattato la hotline ha raggiunto autonomamente Lampedusa, assistita dalla Guardia Costiera italiana solo nell’ultimissimo tratto della rotta, dopo aver attraversato la zona SAR maltese, con le forze armate di Malta che si sarebbero rifiutate di intervenire. Un’altra imbarcazione già nella zona SAR maltese con 66 persone a bordo è stata soccorsa solo dopo circa 40 ore. Le persone a bordo hanno riferito ad Alarm-phone che le Forze Armate di Malta avrebbero cercato di tagliare il cavo del motore, dicendo loro: «Vi lasciamo morire in acqua. Nessuno verrà a Malta.» Anche l’undici aprile si sarebbe ripetuto lo stesso scenario con una imbarcazione con 72 persone a bordo aggredita in mare, secondo quanto riferisce Alarm-Phone, dalle forze armate maltesi.
Allo stesso tempo, diverse imbarcazioni hanno raggiunto l’Italia autonomamente, arrivando a Lampedusa, Linosa e Pantelleria.
Nel drammatico week end di Pasqua è stato difficile ottenere informazioni precise sulle numerose partenze dalla Libia, lungo la rotta del Mediterraneo centrale. L’Organizzazione mondiale per le migrazioni (OIM) ha dichiarato in un comunicato stampa pubblicato il 9 aprile che dall’inizio del mese di aprile almeno sei imbarcazioni sarebbero partite dalla Libia con circa 500 persone a bordo. Anche le intercettazioni e i rimpatri verso la Libia effettuati dalla guardia costiera libica proseguono lungo l’asse tra la Libia e l’Italia. Secondo l’organizzazione Alarm-Phone nel mese di marzo oltre 600 persone hanno tentato di fuggire la Libia via mare e sono state intercettate e rispedite in Libia.
Sempre il 9 aprile l’OIM ha riferito che circa 280 persone sono state intercettate in mare e riportate dalla guardia costiera libica a Tripoli. Non sono state autorizzate a sbarcare dalle autorità libiche e hanno trascorso la notte a bordo.
Secondo l’organizzazione Alarm-Phone inoltre, in una sola settimana, dal 5 all’11 aprile 2020, sarebbero oltre 1.000 persone ad aver lasciato la costa libica su più di 20 imbarcazioni. Alarm Phone ha ricevuto chiamate da un totale di 10 imbarcazioni, due delle quali sono state salvate dalla nave di soccorso civile Alan Kurdi il 6 aprile. Secondo diverse fonti, oltre 500 persone sono state riportare in Libia in soli tre giorni.
Per il momento non vi sono indicazioni che la crisi del Covid19 influenzerà le partenze dalle coste libiche, poiché queste ultime sono più legate alla necessità di fuggire dalla Libia, da detenzioni e torture, che a qualsiasi altro fattore.
Qual è la situazione in Libia?
In Libia, nonostante l’annuncio di una tregua umanitaria legata al Covid-19 è presto andata in frantumi, i combattimenti sono ripresi. La regione di Tripoli è così in preda a numerosi bombardamenti. In occasione di una conferenza stampa il 3 aprile, il portavoce dell’Alto Commissariato per i rifugiati in Libia ha dichiarato che almeno 300 civili sono stati uccisi e 150.000 sono stati sfollati dalle loro case dall’inizio del conflitto lo scorso anno. La situazione è ancora più preoccupante se si considera che la Libia, considerata dall’Organizzazione mondiale della sanità come paese ad alto rischio di fronte alla pandemia, ha ufficialmente riportato il 9 aprile scorso 21 casi di contagio da COVID-19 e un decesso. Mentre il sistema sanitario è estremamente fragile, le organizzazioni internazionali presenti si preoccupano delle possibili conseguenze per la popolazione libica e ancor più per le persone migranti, ammassate in centri di detenzione sovraffollati. Sappiamo che queste persone [nei campi di detenzione] non hanno alcuna possibilità di sopravvivere. Ci aspettiamo una catastrofe umana senza precedenti. », ha dichiarato Walid Elhouderi della Commissione libica per i diritti umani.
Le autorità di Tripoli hanno adottato alcune misure: chiusura delle frontiere terrestri, degli aeroporti, istituzione di un coprifuoco, chiusura degli istituti scolastici e pubblici. Tuttavia, la loro attuazione in un territorio politicamente diviso sembra del tutto ipotetica.
Alla luce di questi elementi di contesto, i nostri team sono particolarmente preoccupati per l’emergenza umanitaria che continua nel Mediterraneo centrale, dove la mortalità rischia di aumentare. È evidente che l’attuale situazione di emergenza sanitaria è estrema e destabilizza gravemente i cittadini e gli Stati europei. Tuttavia, questa crisi non deve rimettere in discussione il diritto del mare e le convenzioni internazionali. È assolutamente necessario adottare a livello europeo misure che consentano di sbarcare rapidamente i sopravvissuti soccorsi in un porto sicuro vicino, garantendo nel contempo la salute pubblica.
SOS MEDITERRANEE Italia si impegna a sostenere tutti gli scenari innovativi possibili affinché insieme possiamo raccogliere questa sfida e soccorrere coloro che annegano.