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Il 23 aprile 537 persone sono sbarcate nel porto di Trapani in Sicilia, dopo essere state soccorse dai team di SOS MEDITERRANEE. Se ce l’hanno fatta è in parte dovuto al mediatore culturale presente sulla nave Aquarius. Seraina Eldada, una giovane donna di 24 anni, ha ricoperto questo ruolo di cui non si parla molto ma che è importantissimo nella riuscita delle operazioni di salvataggio. Ha scelto di raccontarci la propria esperienza a bordo.

 

«Restate calmi, non abbiate paura. Tutto andrà bene. Vi porteremo al sicuro a bordo della nave arancione». Queste sono le prime parole che sentono i naufraghi quando le lance di salvataggio di SOS MEDITERRANEE si avvicinano a un’imbarcazione in pericolo. Sono pronunciate dal mediatore culturale, un membro del team di Medici senza frontiere (MSF). Vera interfaccia tra le persone in pericolo e i soccorritori, il suo ruolo è fondamentale. Durante il primo approccio a un’imbarcazione in pericolo ogni parola e ogni gesto contano per evitare che la concitazione la faccia capovolgere.

Il mediatore culturale accompagna i naufraghi dal primo minuto del salvataggio fino all’approdo in un porto sicuro. Studentessa di sicurezza internazionale e risoluzione dei conflitti, Seraina parla correttamente sei lingue. Considera il proprio ruolo un «ponte» tra i soccorritori e i naufraghi, da un lato, e fra i team di MSF e SOS MEDITERRANEE dall’altro.

 

«Il panico è contagioso»

Fin dal primo contatto visivo con un’imbarcazione in pericolo cerca di individuare l’origine geografica e la lingua delle persone per poter costruire una relazione di fiducia il più rapidamente possibile. Nessun’altra persona comunica con i naufraghi durante il primo approccio. «Certe volte non so, allora chiedo “English? Français? Arabi?”. Si deve distinguere la lingua dominante fin dai primi secondi. Talvolta è un mix fra tre lingue», racconta Seraina. Allora, per evitare di perdere l’attenzione delle persone che con capiscono una delle lingue, il mediatore culturale deve pronunciare frasi molto brevi e alternare le lingue ogni cinque secondi.

Seraina cerca innanzitutto di stabilizzare la situazione prima di parlare. Poi si mette in piedi sulla lancia di salvataggio vicino all’imbarcazione e dà il primo messaggio: «Siamo un’organizzazione umanitaria. Vi porteremo a bordo della nostra nave. Ci sarà abbastanza posto per tutti. Siete salvi. Non abbiate paura. Restate calmi. Vi daremo istruzioni. È importante che le seguiate, così tutto andrà bene. Verremo a prendervi uno dopo l’altro». Infine spiega perché e come le persone devono indossare i salvagente che sono già pronti per essere distribuiti.

Un messaggio essenziale per stabilire un rapporto di fiducia dal quale dipende in gran parte la riuscita dell’operazione di salvataggio e sopratutto per evitare il panico. «Il panico è contagioso. La situazione può diventare velocemente critica, con le persone che cadono in acqua e il pericolo che alcune anneghino».

 

«Ho imparato molto presto l’importanza di essere costantemente in contatto con i naufraghi»

Il mediatore culturale rappresenta il team dei soccorritori: il suo sguardo, il suo atteggiamento, la sua calma, la lentezza dei suoi gesti, il suo sorriso si riflettono nella fiducia che i naufraghi ripongono nella squadra. «Le persone che si trovano di fronte a noi ci osservano. Hanno imparato a osservare, a interpretare ogni passo, ogni gesto. È così che sono sopravvissuti fino a questo punto. Osservano se siamo preoccupati, se non li guardiamo negli occhi. Spesso sono passati anni da quando hanno potuto fidarsi di qualcuno. Fare un cenno col capo o un gesto con la mano per salutare: questo fa una grande differenza per tranquillizzare le persone».

E se si perde il contatto, magari per un secondo, con i naufraghi? «Se guardo in basso, le persone si agitano, cominciano a parlare fra di loro. Ho imparato molto presto l’importanza di essere costantemente in contatto con loro. Parlargli per tenerli occupati, per evitare che pensino alla loro situazione attuale, che è molto pericolosa».

Il mediatore culturale deve adattarsi alle molte emozioni che si trova di fronte: incertezza, paura, panico, entusiasmo, eccitazione, gioia. «Certe volte un’emozione predomina, ma generalmente è un mix. Si deve essere pronti a tutto». Per prepararsi Seraina deve «stabilizzare» innanzitutto se stessa, mantenere «una calma d’acciaio». «Mi rendo conto dell’enorme responsabilità che ho. In questi momenti, se lasciassi spazio alle mie emozioni, metterei a rischio la riuscita dell’operazione. Si deve aspettare la fine del salvataggio per digerirle». Dopo aver dato il primo messaggio e stabilizzato la situazione, il mediatore culturale non comunica più verbalmente con le persone in pericolo. Passa il testimone al vice coordinatore dei soccorsi, che dà le istruzioni per iniziare l’operazione.

 

«Un piccolo angelo che ci viene incontro»

Il mediatore culturale diventa dunque un vero soccorritore. Grazie alle procedure di primo soccorso ripetute a bordo, Seraina ha salvato molte vite. Racconta di aver praticato, durante un salvataggio critico, un massaggio cardiaco a una persona ritrovata in acqua priva di conoscenza. Tornata a bordo della Aquarius, pensava non fosse bastato. «L’infermiere mi è venuto incontro e ha sorriso.“Guarda quel signore laggiù, è quello che abbiamo tirato fuori dell’acqua”. Vedo un uomo a terra con gli occhi aperti. Lo guardo, lui mi guarda e strizza gli occhi, come se mi dicesse buongiorno e grazie. Mi sono resa conto che era sopravvissuto».

Seraina ammette di essere stata colpita molte volte dalle parole dei naufraghi dopo un salvataggio. «Lei era come un piccolo angelo che ci veniva incontro. Ci ricorderemo sempre di lei», le hanno detto a bordo della nave.

 

Comprendere il vissuto, raccogliere le testimonianze, preparare al “dopo”

Dopo un salvataggio, il lavoro del mediatore culturale non finisce: raccoglie le testimonianze lungo il viaggio verso un porto di sbarco per comprendere il vissuto dei naufraghi e le sofferenze sopportate. «È il momento più difficile. Purtroppo le testimonianze si assomigliano molto. Tra le centinaia di persone con cui ho parlato durante i sei mesi a bordo, una soltanto mi ha detto di non essere stata torturata. Ho saputo più tardi che in realtà non mi aveva detto tutto».

Queste informazioni sono essenziali, perché stanno alla base del ruolo di testimone che MSF e SOS MEDITERRANEE si sono date. «Speriamo che la comunità internazionale agisca di fronte a queste testimonianze».

Alla fine del viaggio, il mediatore culturale riunisce i naufraghi in gruppo e dà loro l’ultimo messaggio che li prepari all’arrivo e alle domande alle quale dovranno rispondere una volta giunti nel porto. Li informa delle difficoltà che li aspettano dopo la parentesi di rara serenità a bordo della Aquarius. Questo momento è importante: per la prima volta dopo lungo tempo i naufraghi pensano a ciò che li aspetta.

Dopo sei mesi intensi, Seraina ha dovuto decidersi a lasciare la nave. Quando ne parla, descrive una «indignazione cresciuta nel tempo nei confronti della mancanza di empatia» per le storie delle persone, tutte uniche e simile allo stesso tempo, che ha sentito tante volte in francese, in inglese o in arabo.

Storia raccolta da  Laura Garel
Traduzione  Silvia von Verschuer
Editing   Federica Giovannetti

Foto Maud Veith / SOS MEDITERRANEE

Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.