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„ Sentire che puoi fare qualcosa di utile per loro, ti incoraggia e ti dà forza.“

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Da alcune settimane sei tornata in terra ferma. Come ricordi il tempo trascorso a bordo della nave AQUARIUS?

Da metà giugno a fine luglio sono stata a bordo della nave di soccorso AQUARIUS come volontaria nella squadra di ricerca e salvataggio SAR (Search and Rescue). È stata un’intensa esperienza di vita e di lavoro, molto faticosa dal punto di vista fisico e psichico. Mi sono sentita però cento volte premiata per questo impegno. All’inizio ho avuto difficoltà nel trovare un mio posto nel lavoro e nella squadra, e nei primi giorni soffrivo di mal di mare. Dopo la prima operazione di salvataggio invece, è tutto passato. Da allora ho avuto la sensazione di essere nel posto giusto al momento giusto, facendo la cosa giusta. Questa esperienza mi ha cambiata in modo positivo, e ne sono grata. Sento che è cresciuto anche un forte legame con l’organizzazione. Nelle sei settimane abbiamo salvato 920 persone dal mare, abbiamo assistito in totale 2.043 persone, portate in terra sicura. Il 20 luglio, durante la mia ultima operazione di salvataggio, abbiamo dovuto ricuperare anche ventidue corpi di persone morte su un gommone. Quel giorno è stato duro. Penso spesso alle persone che abbiamo avuto da noi a bordo e mi chiedo: dove sono ora, come stanno?

Il ritorno a terra dopo la fine del mio impegno è stato difficile, il contrasto con quanto vissuto era troppo forte per tornare facilmente alla vita quotidiana. Seguo ora cosa sta succedendo sulla nave, sono in contatto con diverse persone della squadra, quindi mentalmente ed emotivamente sono ancora a bordo. Adesso mi preparo per il prossimo impegno sulla nave a fine settembre.

Perché sei andata a bordo della nave AQUARIUS come volontaria della squadra SAR?

È una storia lunga. Da anni lavoro per una ricerca sulla storia della mia famiglia, composta da generazioni di rifugiati, dal ‘700 in poi. Dal 2013 collaboro con la fondazione federale tedesca Stiftung Flucht Vertreibung Versöhnung (Fuga Espulsione Riconciliazione). All’inizio del 2016 avevo ricevuto un incarico per una ricerca sul tema: “I rifugiati oggi nel Mare Mediterraneo centrale”. Per questa indagine sono stata a lungo in giro per la Sicilia. Ho fatto tante interviste, anche con diverse persone impegnate nel lavoro con i rifugiati, e ho raccolto molto materiale. Quando ero a Lampedusa, a fine febbraio, una notte ho visto, anzi ho vissuto sul molo, l’arrivo di persone salvate dal mare e portate a terra ferma dalla Guardia Costiera. Questo evento, l’incontro con persone che avevano viaggiato in mare, dispersi, senza bere né mangiare, e che in quel momento toccavano per la prima volta terra sicura, mi ha segnata. Un paio di giorni dopo, partecipai ad una cerimonia di saluto alla nave AQUARIUS, che stava per partire per la sua prima missione nella zona SAR del sud Mediterraneo. Ebbi l’occasione di visitare la nave e di parlare con persone che lavorano per SOS MEDITERRANEE. Quando ho visto la nave partire da Lampedusa, ho avuto un forte desiderio di partecipare al progetto. Da giovane sognavo di lavorare su una nave. Adesso, questo desiderio si accompagna all’entusiasmo per il progetto di SOS: fare qualcosa di concreto per persone costrette a mettersi in viaggio sulla pericolosa rotta del Mediterraneo, rischiando così la loro vita. Appena terminato il lavoro di ricerca, ho mandato perciò la mia domanda all’organizzazione umanitaria SOS MEDITERRANEE.

Perché il salvataggio civile in mare è così importante per te?

Quando la tua città è in fiamme, non aspetti che arrivino i vigili, ma vai a partecipare per spegnere il fuoco. L’impegno di navi civili per il salvataggio è così importante sia perché c’è urgente bisogno di loro, sia perché sono le uniche per le quali la missione di Search and Rescue, cioè di salvare le persone, è prioritaria. La rotta del Mediterraneo centrale è la rotta di fuga più pericolosa al momento e dove si registra il più alto numero di vittime. Quasi ogni giorno muoiono delle persone in mare, persone in fuga che non hanno alternative al viaggio in gommone. Questo è una catastrofe umanitaria, bisogna contrastarla con mezzi umanitari. Non possiamo farcela da soli, però se non ci fossimo, morirebbero ancora più persone. La Comunità Europea non ha ancora deciso di affrontare la realtà. Continua a puntare sulla chiusura e la difesa, esporta altrove la protezione delle proprie frontiere e prende accordi con dittature e criminali di guerra (come in Sudan), piuttosto che impegnarsi politicamente e in modo concreto nel Mediterraneo a favore delle persone in fuga. Alla fine le persone, che scappano dall’inferno della Libia, diventano oggetti di una politica miope e cinica che segue interessi nazionali ed egoistici.

L’Europa si illude ancora di poter fermare la migrazione di persone. Le navi di FRONTEX e di EUNavForMed, oltre a partecipare alle operazioni di salvataggio di persone, girano nel Mare Mediterraneo con la missione di proteggere le frontiere europee e di sconfiggere i trafficanti. Quelli però, stanno in Libia e fanno grandi affari. Ogni giorno, quando il tempo atmosferico lo permette, i trafficanti mettono delle persone sulle barche e li fanno partire, sapendo che queste non ce la faranno mai ad arrivare fino alla costa italiana. Sembra che per noi le vite di questi esseri umani in fuga valgano meno delle nostre. Cosa succederebbe se fossero gli Italiani, i Tedeschi, i Francesi a morire a migliaia nel Mare Mediterraneo? Allora non siamo tutti uguali, indipendentemente dalle nostre origini, dal colore della nostra pelle, dalla nostra religione e dal nostro genere?

Quali sono stati momenti particolari per te sulla AQUARIUS?

Ci sono tanti momenti che mi tornano spesso alla memoria. Ci sono i momenti durante le operazioni di salvataggio, con il gommone davanti a noi. Stavo spesso sulla piattaforma di arrivo e davo una mano alle persone che salivano la scala per venire a bordo. Ci sono anche momenti durante le giornate seguenti, a bordo, trascorsi insieme ai sopravvissuti. In particolare, mi ricordo il „battesimo di fuoco“, la mia prima operazione in mare. Il 23 giugno, di mattina, ero di guardia sul ponte. Arrivò una chiamata di emergenza dal MRCC di Roma. C’erano tre gommoni nelle vicinanze. Il primo l’abbiamo trovato dopo poco tempo e abbiamo salvato tutti i passeggeri. Il secondo, nel frattempo era stato avvicinato da una nave militare, con l’impegno di salvarli. Il terzo però, l’abbiamo cercato per tutto il pomeriggio e per tutta la sera. Scendeva il buio e noi c’eravamo tutti sul ponte con il binocolo per scrutare il mare. Niente. Navigammo nella notte continuando la ricerca, il Capitano faceva muovere la nave come una spirale attorno alla posizione supposta del gommone. Le luci della nave giravano sulla superficie dell’acqua. All’improvviso apparve un piccolo punto bianco nel buio. L’avevamo trovato il terzo gommone. Ci siamo avvicinati e le persone dentro stavano sedute ferme e accennavano un saluto. La barca rifletteva la nostra luce, splendeva come se tutto fosse bianco, anche le persone. Sopra di loro stava la luna piena. Abbiamo fatto un’operazione di salvataggio notturna e verso le 2 di mattina li abbiamo tratti tutti a bordo, tutti salvi. C’erano tantissime donne e molti bambini tra di loro, erano in viaggio da più di 20 ore. Subito dopo, alle ore 3, abbiamo iniziato un trasbordo da una nave della Marina Militare italiana di altre 395 persone. Il portarli da noi a bordo è durato più di 6 ore, una eternità. Eravamo ormai in piedi da più di 24 ore. Il nostro viaggio di ritorno alla volta di Messina è durato due giorni, abbiamo assisto in totale 650 persone, così tanti non erano mai stati a bordo della AQUARIUS. Nella giornata del 23 giugno ci furono 43 le operazioni di salvataggio nel Mediterraneo, circa 5.000 persone sono state salvate. E’ stata una giornata da record, ma nei media c’era soltanto la notizia sul Brexit che oscurava tutto. Quel giorno c’è stato anche un Happy End per una giovane coppia di amanti, Masse ed Adams. Erano fuggiti su due gommoni diversi, non avevano più notizie l’una dell’altro. Lei era sul gommone della notte, lui arrivò solo poco dopo con il trasbordo dalla nave militare. Si sono ritrovati a bordo da noi e hanno passato tutto il tempo sul ponte, abbracciati. Non potevano credere alla loro fortuna.

Altri momenti indimenticabili sono stati gli incontri con le persone salvate a bordo, dopo che si erano riposate, nella seconda notte , oppure il lavoro di squadra per preparare e per distribuire i pasti. Era particolare anche il turno di guardia durante le notti, quando le donne dormivano esauste nello spazio protetto e i loro figli correvano per ore sul ponte, giocando e facendo scherzi.
Non volevano andare a dormire. Erano grati per ogni attenzione da parte nostra. C’era una bambina che aveva mangiato un intero pacco di NRG5, quella polvere compatta di 2000 Kcal, la quale nutre un uomo adulto per una giornata. Era imprendibile e adorabile e l’avrei adottata all’istante.

Non potrò mai scordare come arrivammo la mattina presto nel porto di Messina, come i superstiti stavano a guardare da ore la costa che si avvicinava, come iniziarono a pregare e a cantare – e come poi lasciarono la nave per scendere in terra ferma. Ad ogni discesa c’erano persone che avevo conosciuto un poco durante il tragitto di due giorni, ed era difficile salutarle. Sapevo che avevano ancora un lungo e pesante viaggio davanti a loro.

La giornata peggiore è stata quella del 20 luglio. Dopo la chiamata di emergenza dal MRCC di Roma siamo andati alla posizione segnalata e abbiamo saputo che c’erano dei morti in uno dei due gommoni. Abbiamo preso su i sopravvissuti, 209 in totale dalle due imbarcazioni. Alla fine, tre uomini della nostra squadra SAR, Mathias, James und Albert, si sono calati dentro e hanno iniziato a ricuperare i corpi. Su a bordo, la dottoressa e i ragazzi di MSF li hanno presi e messi nei body bag e portati verso la prua. È durato ore, non finiva mai, almeno così sembrava. Ho osservato l’operazione dalla piattaforma di arrivo, da una certa distanza, non potevo fare niente. La sera, quando abbiamo saputo di più, quando dicevano che erano 22 i morti di cui 21 erano donne e che erano in uno stato pietoso, sono stata presa da uno sconforto mai provato. Siamo stati poi due giorni in viaggio per giungere a Trapani, portando tutti, i vivi e i morti, a terra. Questo è stato mio ultimo impegno di salvataggio, tre giorno dopo ho preso l’aereo per tornare a casa.

Cosa ti porti dietro da questa esperienza?

Soprattutto la certezza che siamo tutti nella stessa barca e portiamo insieme delle responsabilità per ciò che succede. La fiducia nelle virtù di un lavoro comune, nella possibilità di poter riuscire insieme a fare qualcosa di utile. Ho vissuto a bordo della AQUARIUS la forza di un team internazionale, le tre squadre tra SOS Mediterranee, MSF (Medici Senza Frontiere) e il personale nautico-tecnico, persone di tredici nazionalità, impegnati nel progetto comune di salvare delle persone. Quando puoi impegnarti secondo le tue capacità e riesci a trovare il tuo posto in questo progetto, vivi un’enorme crescita in coraggio e in forza. Semplicemente avverti che puoi fare qualcosa. Non solo stare seduta sul divano di casa e farti investire dalle notizie, che poi passano, ma piuttosto che puoi fare qualcosa di utile, avere un impatto sulla realtà delle persone. A volte è sufficiente un piccolo passo fuori dalla tua routine, e la prospettiva cambia. Mi porto dietro anche la consapevolezza del nostro benessere e della nostra fortuna, e sento una gratitudine immensa. Sono grata di questa esperienza sulla AQUARIUS, di questi incontri, di nuovi amici nella mia vita. Sono grata per l’occasione avuta di poter dare una mano alle persone che sono fuggite dall’inferno della Libia, di poter fare un gesto umano.

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Nel febbraio 2017, il governo italiano, col supporto di diversi leader europei (vertice di Malta) sigla con le autorità libiche il Memorandum d’intenti, cornice giuridica per azioni successive come la creazione di una “guardia costiera” libica, il suo addestramento e la fornitura di mezzi (es. motovedette). Fin da subito l’accordo è criticato da organizzazioni internazionali che denunciano i legami fra guardia costiera e milizie, e le condizioni di vita di migranti e profughi bloccati in Libia.

A seguito di questo accordo, il Centro di coordinamento per i soccorsi libico (JRCC) diventa formalmente responsabile del coordinamento dei servizi di ricerca e soccorso nella propria regione SAR: da quel momento, le autorità europee fanno affidamento sui libici per bloccare le partenze. Solo tra il 2019 e il 2023, quasi 90.000 persone3 sono intercettate e riportate in quello che viene definito dai sopravvissuti “l’inferno in terra”.

Il risultato è una drastica diminuzione degli arrivi in Italia tra il 2017 e il 2018 (da circa 120.000 a 23.000 persone), curva che però poi tornerà nuovamente a crescere. I rimpatri forzati sottopongono di nuovo queste persone a trattamenti inumani e degradanti, nonostante la situazione nei campi in cui sono detenute in Libia è stata valutata da una Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite come probabili “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”. Queste intercettazioni contravvengono anche ai principi del diritto marittimo. che impongono di sbarcare i sopravvissuti di un salvataggio in un luogo sicuro, in cui tutti i bisogni fondamentali vengono soddisfatti e i diritti umani rispettati. La Libia non può essere considerata un “luogo sicuro”.

Inoltre, le autorità libiche si rivelano disfunzionali e non in grado di effettuare salvataggi efficaci e sicuri. Come risultato, ancora una volta, sempre più persone annegano.

Nello stesso 2017, alle ONG viene richiesto di sottoscrivere il cosiddetto “Codice di condotta Minniti” – dal nome dell’allora ministro dell’Interno italiano – che però non tiene in considerazione che le operazioni SAR si svolgono già secondo chiare normative internazionali: una mossa politica che avalla la narrazione criminalizzante sul soccorso in mare. Dal 2017 vengono avviate diverse indagini contro le navi ONG, per lo più conclusesi con assoluzioni o archiviazioni. Bloccare le ONG di ricerca e soccorso significa svuotare il Mediterraneo di soccorsi ed esporre così sempre più persone al rischio di annegare, e anche togliere alla società civile la possibilità di testimoniare e denunciare questa tragedia umanitaria.

Nel 2013, due tragici naufragi avvenuti a poche miglia dalle coste europee scuotono l’opinione pubblica: il primo, il 3 ottobre – data proclamata in seguito Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione – con 368 vittime accertate, 20 dispersi e 155 superstiti; e il secondo, pochi giorni dopo, l’11 ottobre, che causa 268 vittime, in prevalenza famiglie con bambini.

Questa missione fa sperare in un cambiamento nell’approccio vieni all’immigrazione e al soccorso in mare, ma così non succede perché Mare Nostrum viene chiusa nel novembre 2014 per la mancanza di supporto da parte di altri Stati europei e per le critiche, da diverse parti politiche, che la additano come pull factor. La missione italiana è sostituita da operazioni europee (Triton, EUNAVFORMED, Sophia e Irini) non sufficienti però a coprire le necessità di soccorso nel Mediterraneo e con obiettivi più securitari (controllo dei confini) che umanitari.

È in questo momento storico che numerosi comitati, associazioni e gruppi di cittadini in tutta Europa, mossi dallo sdegno e dall’incapacità di accettare così tante morti in mare, decidono di attivarsi con navi private, sia nel mar Egeo (sulla cosiddetta rotta orientale tra Turchia e Grecia) sia, soprattutto, nel Mediterraneo centrale. SOS MEDITERRANEE nasce proprio con questo spirito: dapprima vengono fondate le associazioni francese e tedesca (2015), poi quella italiana (2016) e infine quella svizzera (2017), le quattro “sorelle” che costituiscono il network SOS MEDITERRANEE.

Inizialmente, le ONG vengono accolte positivamente dall’opinione pubblica e dalle autorità marittime europee, italiane in particolare, e coordinamento e collaborazione sono all’ordine del giorno.

Nel giugno 2018, a seguito della chiusura dei porti italiani alle navi di soccorso, l'odissea della Aquarius, costretta a sbarcare a Valencia (Spagna) i 630 sopravvissuti a bordo, inaugura una lunga serie di blocchi in mare. Le navi, di qualsiasi tipo, rimangono bloccate per giorni, se non settimane, prima che alcuni Stati europei propongano una soluzione di sbarco ad hoc, con una distribuzione dei sopravvissuti in base a quote. Il diritto marittimo prevede invece che le navi debbano essere sollevate dalla responsabilità del soccorso il più rapidamente possibile e che i sopravvissuti siano trattati umanamente. In mare, le navi immobilizzate non possono soccorrere altre persone in pericolo. La capacità di soccorso si riduce ulteriormente e la mortalità aumenta, raggiungendo il tasso record del 5,6% (contro il 2,4% nel 2017) lungo l'asse Libia - Italia, nonostante il numero di attraversamenti fosse stato ridotto del 50%.

Le motivazioni fornite dall’allora governo sono essenzialmente due: diminuire le morti in mare e ricercare maggiore “solidarietà” da parte degli altri Paesi UE.

Entrambi gli scopi falliscono e soprattutto la mortalità sulla rotta aumenta, invece che diminuire4. Inoltre, tale pratica presenta non poche criticità, in primis perché ritarda inutilmente lo sbarco e dunque l’assistenza a terra ai sopravvissuti, andando in contrasto con quanto previsto dalle convenzioni marittime internazionali, che affermano che una nave deve essere sollevata quanto prima dalla sua responsabilità di salvataggio e che i sopravvissuti debbono essere trattati “con umanità”. Invece, il tempo medio di attesa di un porto per lo sbarco, in questo periodo, è di nove giorni.

SOS MEDITERRANEE è la prima organizzazione a vedere le conseguenze di questa linea politica: nel giugno 2018, alla Aquarius è impedito lo sbarco in un porto italiano e naviga per più di una settimana fino a Valencia, in Spagna, con 629 persone a bordo. Pochi mesi dopo, la Aquarius è privata della bandiera a causa di pressioni politiche, e di conseguenza impossibilitata a navigare. Dal 2019, SOS MEDITERRANEE opera nel Mediterraneo con la Ocean Viking.

Questa iniziativa franco-tedesca è oggetto di una promettente dichiarazione d'intenti firmata a settembre tra Italia, Malta, Francia e Germania. Tuttavia, il progetto pilota, che prevede un meccanismo sostenibile coinvolgendo altri Stati membri, non vede mai realmente la luce.

A settembre 2019, per la prima volta dal rifiuto di far sbarcare i 630 sopravvissuti della Aquarius nel giugno 2018, i porti italiani permettono a una nave di un'organizzazione non governativa di attraccare: si tratta proprio della nostra nuova nave, la Ocean Viking. Nasce dunque la speranza di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie ma ciononostante, i casi di attesa e blocco in mare si moltiplicano con la negoziazione caso per caso della distribuzione dei sopravvissuti prima ancora dello sbarco.

Nel 2019, il numero di arrivi in Europa tramite le tre rotte migratorie mediterranee è il più basso dal 2015: 123.700 arrivi, rispetto a 141.500 nel 2018, secondo i dati dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), di cui circa 11.500 in Italia.

Nonostante questa significativa diminuzione degli arrivi negli ultimi tre anni, l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) registra un pesante bilancio umano nel 2019. La maggior parte delle morti in mare nel Mediterraneo si verifica nella regione centrale, con 1.262 delle 1.885 morti registrate lungo le tre rotte migratorie mediterranee, senza contare le imbarcazioni scomparse senza lasciare traccia. La mortalità nel Mediterraneo centrale raddoppia rispetto al 2018, raggiungendo un tasso record del 4,78%, secondo l'OIM.

Nel 2020, i segni promettenti di un miglioramento della situazione di blocco delle navi umanitarie alla fine del 2019 e all'inizio del 2020 sono bruscamente cancellati quando la pandemia di Covid-19 raggiunge il continente europeo nel marzo 2020.

Non solo causa gravi interruzioni nell'accesso ai servizi medici e logistici nella maggior parte degli Stati europei, ma sconvolge completamente il mondo marittimo: chiusura delle frontiere europee, impossibilità di cambiare gli equipaggi, porti chiusi - in particolare alle navi da crociera - navi messe in quarantena. Molto rapidamente, diversi Stati membri dell'Unione europea come Malta e l'Italia annunciano ufficialmente che non sono più in grado di fornire un luogo sicuro o assistere nello sbarco delle persone soccorse in mare. Il governo di Tripoli dichiara ad aprile che i suoi porti non sono sicuri per lo sbarco a causa dei bombardamenti in corso. Per diverse settimane, le ONG di ricerca e soccorso operanti nel Mediterraneo centrale sono costrette a sospendere le loro attività.
Con la ripresa delle partenze e delle operazioni civili di soccorso, si osserva un cambio di passo - seppur solo apparente - nei confronti delle organizzazioni umanitarie.

Cambiato il Governo e dunque il ministro dell’Interno, a livello mediatico si “abbassano i toni” rispetto alla criminalizzazione pubblica delle organizzazioni umanitarie, a cui non viene più impedito lo sbarco in Italia; di contro però, non solo la durata degli stand off non diminuisce, ma si osserva un aumento del numero di controlli e fermi amministrativi delle navi civili di soccorso. In 15 mesi, tra il gennaio 2020 e il maggio 2021, le autorità italiane emettono ben 11 disposizioni di fermo amministrativo a seguito di controlli dello Stato di approdo (PSC), causando la mancanza di assetti civili di soccorso in mare per un totale di 494 giorni. Anche la Ocean Viking in quel periodo è colpita da un provvedimento amministrativo che la tiene lontana dall’area delle operazioni da luglio a dicembre 2020: il fermo più lungo subìto da SOS MEDITERRANEE. Una politica persecutoria finalizzata ad ostacolare l’operatività delle ONG, con la sola conseguenza di diminuirne fortemente la presenza in zone di emergenza, mentre fatali naufragi continuano drammaticamente a succedersi.

Al contrario, le imbarcazioni della guardia costiera libica ostacolano attivamente le operazioni di soccorso e la mancanza di coordinamento ha causato prolungate attese in mare per i soccorsi, oltre a mettere in pericolo vite umane. Dall’autunno 2022, con l’ennesimo cambio di Governo, le autorità italiane assegnano immediatamente il porto di sbarco, in osservanza delle norme sul soccorso in mare.

Ma se fino a quel momento destinazione delle navi civili sono stati i porti siciliani o calabresi, le autorità iniziano ad assegnare porti lontani migliaia di chilometri: Livorno, Ravenna, Ancona, La Spezia, Civitavecchia, Ortona, Genova. Questa politica ha di nuovo l’effetto di tenere le navi civili di soccorso lontane dal Mediterraneo centrale, dove le persone in fuga sono dunque più esposte al rischio di morte o di essere intercettate e forzatamente riportate in Libia.

Raggiungere un porto lontano significa prolungare il viaggio dei naufraghi, ovvero aumentare le sofferenze di persone vulnerabili e bisognose di assistenza a terra; per le ONG significa anche un incremento spropositato dei costi per il carburante.

Inoltre, va ricordato che il diritto internazionale del mare impone l’assegnazione di un porto il più possibile vicino, proprio per evitare inutili sofferenze alle persone soccorse. Nell’autunno 2022, il neoeletto governo interviene per impedire lo sbarco dei naufraghi a bordo di tre navi umanitarie (Humanity 1, Geo Barents e Ocean Viking), servendosi di provvedimenti interministeriali ad hoc: la Ocean Viking è tenuta “sospesa” in acque internazionali con centinaia di naufraghi a bordo per ben 21 giorni: il più lungo stand off della storia di SOS MEDITERRANEE. La nostra nave può infine sbarcare i sopravvissuti solo il 25 novembre a Tolone, in Francia.

Il nuovo decreto, non necessario dato che il soccorso in mare è già dettagliatamente regolato da norme internazionali, pone nuove limitazioni alle imbarcazioni civili di soccorso e sanzioni pecuniarie: tra queste, il dovere di recarsi “senza ritardo” nel porto di sbarco assegnato, scoraggiando così i “soccorsi multipli” e mettendo i Capitani nelle condizioni di violare il decreto o le disposizioni del diritto marittimo internazionale che impongono il soccorso. Tale imposizione, combinata con la prassi dei “porti lontani”, rappresenta un grave e ingiustificabile ostacolo al lavoro umanitario in mare, un deterrente per lo svolgimento di operazioni di soccorso complete e necessarie.

A luglio, la Ocean Viking ancora una volta subisce le ripercussioni di una politica di ostacolamento e viene nuovamente posta sotto fermo amministrativo a seguito di un Port State Control (PSC) - Controllo dello Stato di Approdo. Durante quest’anno, due tragici naufragi nel Mediterraneo tornano a scuotere l’opinione pubblica europea: nella notte tra il 25 e il 26 febbraio, più di 100 persone muoiono a pochissime miglia dalle coste calabresi di Cutro (KR); poi a metà giugno, al largo della località greca di Pylos, perdono la vita oltre 500 persone, in quello che è stato il più grande naufragio nel Mediterraneo dal 2015. Nonostante l’ondata di sdegno generata, nessuno di questi due drammatici eventi ha portato a cambiamenti effettivi nell’approccio e nelle politiche sul soccorso in mare.

Nel luglio del 2023, l’Unione europea, attraverso una delegazione guidata dalla Commissaria Ursula Von Der Leyen, dalla Presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni e dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, firma un Memorandum d’Intesa con la Tunisia, rappresentata dal Presidente Saied. Tale accordo è finalizzato a limitare le partenze verso l'Italia ed è un ulteriore tassello della politica europea di esternalizzazione della gestione delle frontiere. Subito dopo la firma di questo accordo, paradossalmente, le partenze dalla Tunisia subiscono una impennata senza precedenti. Questo incremento delle partenze è in realtà dovuto, anche, ad un serio deterioramento della sicurezza per le persone in movimento presenti sul territorio tunisino.

Nel febbraio 2023, il Presidente tunisino, Kais Saied, rilascia una dichiarazione dai toni discriminatori che finisce per scatenare sentimenti razzisti esistenti in una certa parte della popolazione tunisina ed innescare così una spirale di attacchi violenti ed espulsioni collettive, spesso in pieno deserto.

Il 27 luglio, l'Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) dichiarano di essere "profondamente preoccupati per la sicurezza e il benessere di centinaia di migranti, rifugiati e richiedenti asilo in Tunisia, che rimangono bloccati in condizioni disastrose dopo essere stati portati in aree remote e desolate vicino ai confini del Paese con la Libia e l'Algeria. Altri sono stati spinti oltre i confini verso la Libia o l'Algeria. [...] Tragicamente, ci sono già notizie di perdite di vite umane tra il gruppo".

In un recente rapporto del luglio 2023, Human Rights Watch afferma che la Tunisia non è un luogo sicuro per la popolazione nera africana, che negli ultimi mesi è stata vittima di "pestaggi", "detenzioni arbitrarie" e "furti di denaro ed effetti personali" da parte delle autorità tunisine. Nelle stazioni di polizia, alcune vittime sono sottoposte a "scosse elettriche" e ad "arresti arbitrari basati sul colore della pelle". A questo riguardo, nell’agosto 2023 la Ocean Viking porta a termine diversi salvataggi di imbarcazioni partite dalla Tunisia: le testimonianze che abbiamo raccolto confermano le violazioni che lo stato tunisino perpetra nei confronti dei migranti, specialmente subsahariani.

Nel novembre 2023 la Ocean Viking è stata fermata per presunta violazione del "decreto Piantedosi". Dopo lo sbarco ad Ortona, avvenuto nella notte tra il 15 ed il 16 Novembre, le autorità italiane hanno ordinato 20 giorni di detenzione della Ocean Viking e inflitto a SOS MEDITERRANEE una multa di 3.300 euro per aver soccorso persone in pericolo nella zona SAR libica senza aspettare indicazioni dalle autorità locali. Il Capitano e la Coordinatrice delle Operazioni di Ricerca e Soccorso a bordo sono stati interrogati a lungo dalle autorità italiane in merito al secondo dei 3 salvataggi, che avrebbe comportato il ritardo all’arrivo al porto di Ortona. Il diritto internazionale non lascia spazio a dubbi: lasciare quei 34 naufraghi al loro destino in mezzo al mare sarebbe stato illegale, oltre che moralmente sbagliato.

Nel dicembre, la notte di capodanno, la storia si ripete: la Ocean Viking è nuovamente bloccata per presunta violazione del decreto. L'infrazione? Una minima deviazione della sua rotta, avvenuta al solo scopo di rendersi disponibile a prestare assistenza ad altre 70 persone in pericolo. Una variazione che comunque di fatto non ha causato alcun ritardo su un viaggio di quasi 3 giorni verso il porto disegnato per lo sbarco.